Primo Piano

Papa Francesco: “preoccupazione” e “dolore” per il Medio Oriente

22 Aprile 2024 - Città del vaticano - “Continuo a seguire con preoccupazione, e anche con dolore, la situazione in Medio Oriente”. Lo ha assicurato il Papa, che al termine del Regina Caeli di ieri ha rinnovato l’appello “a non cedere alla logica della rivendicazione e della guerra; prevalgano invece le vie del dialogo e della diplomazia, che può fare tanto”. “Prego ogni giorno per la pace in Palestina e in Israele e spero che quei due popoli possano presto smettere di soffrire”, ha rivelato Francesco: “E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la martoriata Ucraina che soffre tanto per la guerra”. “Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d’Avorio, conosciuto come il ‘missionario instancabile’, che ha lasciato una grande testimonianza di generoso servizio”, ha proseguito il Santo Padre: “Preghiamo per la sua anima”. Non è mancato un saluto “ai nuovi presbiteri della diocesi di Roma, che sono stati ordinati ieri pomeriggio nella basilica di San Pietro”: “Preghiamo per loro!”.    

Ognuno di noi è “importante” per Cristo

22 Aprile 2024 -
Città del Vaticano - In questa domenica, la quarta di Pasqua, la Chiesa vive la Giornata delle vocazioni, e ricorda, nel Vangelo di Giovanni, la figura del buon pastore che veglia e protegge. Immagine che non è soltanto riferita al contesto sociale e culturale del tempo in cui Gesù è vissuto, e che vedeva nel quotidiano la presenza di greggi e pastori, ma comunica una visione della vita cristiana che coinvolge tutti noi, e che mette in primo piano il buon pastore, appunto, e dall’altro il mercenario e il lupo. Questi ultimi due hanno, per così dire, una visione simile: il mercenario agisce per fini personali, per denaro e non si cura di abbandonare il gregge nel momento del pericolo; il lupo “le rapisce e le disperde” come leggiamo in Giovanni. Agiscono, i due, con indifferenza e egoismo e guardano solo alla propria soddisfazione, al proprio tornaconto. È l’immagine di una realtà che non guarda l’altro, e oggi possiamo dire non guarda i poveri e i profughi che cercano di raggiungere altre terre per costruirsi e costruire per la propria famiglia un futuro migliore; è la cultura dello scarto per usare sempre le parole di Papa Francesco. Il buon pastore, invece, è colui che conosce le pecore, anzi dà la vita per le proprie pecore. “Gesù – ricorda Papa Francesco al Regina caeli – non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge”, ma per noi “ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito”. Di più, come leggiamo nel quarto Vangelo, il buon pastore- Gesù ha “altre pecore che non provengono da questo recinto. Anche quelle deve guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”. Facile leggere qui l’invito a non fermarsi al proprio popolo ma guardare anche oltre, anche a coloro che appartengono a altre culture e a altri paesi. Ecco perché la Chiesa celebra, in questa domenica, la Giornata delle vocazioni, per ricordare che il sacerdote non è un funzionario, non un manager ma deve assumere la mentalità del servo, diceva Papa Francesco nel 2015, “a imitazioni di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia”. E ancora affermava che il pastore non è un collezionista di antichità; la prospettiva non è più quella delle novantanove pecore nel recinto: oggi nel recinto ne abbiamo una sola e le novantanove le dobbiamo andare a cercare. Benedetto XVI, il 3 maggio del 2009, metteva in guardia i nuovi sacerdoti: il mondo, spiegava, “è una mentalità, una maniera di pensare e di vivere che può inquinare anche la Chiesa, e di fatto la inquina”. E aggiungeva: “siamo nel mondo, e rischiamo di essere anche del mondo”. Parlando al Regina caeli Francesco ha affermato che ognuno di noi è “importante” per Cristo: “lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita. E questo non è un modo di dire: lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me. Perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo”. Il buon pastore-Gesù “ci conosce” afferma ancora il vescovo di Roma, “ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova”. E questo perché “ci pensa come l’amore della sua vita”. Per lui siamo un valore, mentre oggi tante persone “si ritengono inadeguate o persino sbagliate. Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri. E quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco. Oggi Gesù ci dice che noi per lui valiamo tanto e sempre”. Ancora una volta, come domenica scorso, il Papa ha messo in primo piano la via del negoziato per fermare i conflitti che insanguinano Israele, Palestina e l’Europa. Ha detto di seguire “con preoccupazione, e anche con dolore, la situazione in Medio Oriente”. Per questo ha rinnovato “l’appello a non cedere alla logica della rivendicazione e della guerra; prevalgano invece le vie del dialogo e della diplomazia, che può fare tanto”. La sua preghiera quotidiana è “per la pace in Palestina e in Israele” e spera che quei “due popoli possano presto smettere di soffrire”. E preghiera di pace per “la martoriata Ucraina che soffre tanto per la guerra”. (Fabio Zavattaro - Sir)

Migrantes Campania: il prossimo 27 aprile l’incontro della cappellanie etniche della regione

19 Aprile 2024 -
Napoli - Il 27 aprile 2024 si terrà un importante incontro presso l'Istituto Pennese a Portici, in provincia di Salerno, destinato ai Cappellani etnici delle Diocesi della Campania, sacerdoti e religiosi stranieri che collaborano con gli uffici diocesani Migrantes e i Direttori diocesani Migrantes.  L'obiettivo principale dell'evento è quello di condividere le esperienze e le attività svolte all'interno delle comunità etniche cattoliche presenti sul territorio regionale. La convocazione, firmata dall'Incaricato Regionale Migrantes Antonio Bonifacio e sostenuta dal Vescovo delegato mons. Giuseppe Mazzafaro, offre un'importante momento per la collaborazione tra le varie realtà religiose impegnate nell'assistenza, nell'accoglienza e nell'accompagnamento, nella vista quotidiana e di Fede, dei migranti e delle comunità etniche presenti nella regione.
L'ordine del giorno prevede diverse sezioni, tra cui la comunicazione del Vescovo delegato, le comunicazioni dell'Incaricato Regionale e un aggiornamento sulle attività ed esperienze delle cappellanie etniche. L'incontro sarà anche un'occasione per rafforzare i legami fraterni tra i partecipanti e per promuovere una maggiore coesione e collaborazione tra le varie realtà ecclesiastiche impegnate nell'assistenza ai migranti e alle comunità etniche.

Bologna: un’ambulanza coi segni della guerra in Ucraina

19 Aprile 2024 -
Bologna - Un’ambulanza, crivellata da colpi di bombe e di artiglieria, proveniente dal villaggio di Staryi Saltiv nella regione di Kharkiv, è stata portata nel centro di Bologna, a testimonianza dell’orrore che ancora oggi vive l’Ucraina. Nel settembre 2022 l’ambulanza era giunta in soccorso di un ferito. Trenta secondi dopo l’arrivo dei sanitari è caduta la prima bomba: una prassi purtroppo ricorrente ripetuta in almeno 2000 casi, tanti sono i veicoli speciali distrutti. L’iniziativa è promossa dall’associazione internazionale “Ukraine is calling”, con l’obiettivo di raccogliere fondi per l’acquisto di nuove ambulanze per le operazioni di soccorso ed è stata fatta propria dalla parrocchia greco-cattolica di San Michele di Bologna che si riunirà attorno all’ambulanza per un momento di preghiera. Mons. Andrea Caniato dell’Ufficio Diocesano Migrantes di Bologna sottolinea: "sentiamo tutte le vittime dell’Ucraina come nostre, le sentiamo nostre per la presenza di una numerosa  comunità ucraina in mezzo a noi , ma le sentiamo nostre perché sono in fondo parte del nostro continente e della nostra famiglia di popoli. E la nostra preghiera è che ,anche grazie alla sensibilizzazione che questo mezzo sta portando nelle città italiane, possa crescere una grande coscienza di responsabilità per la costruzione della pace".    

Migrantes Messina-Lipari-S.Lucia del Mela: domani il quinto incontro di formazione su “Diaconi e mobilità umana”

19 Aprile 2024 - Messina - Si svolgerà domani, sabato 20 aprile 2024, il quinto incontro del percorso formativo sulla pastorale della mobilità umana che l’Ufficio diocesano Migrantes della diocesi di Messina-Lipari-S.Lucia del Mela ha preparato per i Diaconi permanenti della diocesi. L'incontro si svolgerà presso l’Istituto “Cristo Re” dei Padri Rogazionisti sul tema "Le migrazioni forzate e l’accoglienza: il diritto alla protezione"  e si aprirà con un momento di preghiera, che prevede l’intronizzazione della Parola e una breve riflessione sul brano biblico, curata dal diacono Salvatore Bellinghiere. A seguire verrà proiettato un video, prodotto dalla Migrantes diocesana, con la testimonianza di chi è stato costretto a lasciare il proprio Paese e gli affetti più cari alla ricerca di protezione e di un futuro migliore. Dopo il video, attingendo al volume sul Diritto d’Asilo della Fondazione Migrantes, verranno presentate alcune caratteristiche che contraddistinguono le migrazioni forzate, per andare oltre la narrazione della “propaganda”. L’ultima parte dell’incontro racconterà l’esperienza dei Corridoi Universitari per Rifugiati (UNICORE) che, assieme ad altre realtà, vede il protagonismo della Chiesa locale. Saranno tre le voci che si alterneranno: i volontari dell’Ufficio, gli studenti beneficiari del progetto, le “famiglie tutor” che accompagnano i ragazzi. "Siamo certi - spiega il direttore Migrantes Santino Tornesi - che anche questa tappa formativa consegnerà nuovi stimoli per il ministero diaconale, che nella 'Chiesa povera' di Papa Bergoglio deve solo mettere in moto la fantasia pastorale, che non può e non deve mancare in chi ha come modello la figura di Cristo servo, Figlio di Dio venuto al mondo per liberare l’umanità da ogni forma di schiavitù".

Venezia: alla Ca d’Oro la tragedia dei migranti

19 Aprile 2024 - Venezia - La tragedia dei migranti arriva a Venezia nei mesi della Biennale con "Naufragi Approdi", negli spazi della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro. Il progetto, realizzato dall'artista César Meneghetti e dai Laboratori d'Arte della Comunità di Sant'Egidio per la cura di Alessandro Zuccari, scaturisce dalle riflessioni che gruppi di artisti con disabilità hanno elaborato e condiviso con Meneghetti sui viaggi dei migranti e sulla tragedia dei tanti che hanno perso la vita cercando di raggiungere l'Europa: nomi, storie, cifre. Nell'atrio porticato del museo, dove i riflessi dell'acqua giocano sul mosaico pavimentale e sul rivestimento marmoreo delle pareti Naufragi - Approdi è dedicata alla memoria dei 3.129 bambini e adulti, in fuga da guerre povertà ed emergenze climatiche, che hanno perso la vita nel 2023 nel Mediterraneo e lungo la rotta balcanica. César Meneghetti ha realizzato una video installazione: su un mare digitale, scorrono i nomi dei 240 migranti che Sant'Egidio, con un atto di pietas, è riuscita a ritrovare per opporsi all'oblio. Con loro non vanno dimenticati gli altri 2889 di cui non si conosce il nome. Sul mosaico pavimentale ideato da Giorgio Franchetti ad evocazione di quelli delle basiliche paleocristiane, sono disposte 3.129 piccole barche di carta, fragili al pari dei gommoni o ai caicchi (come quello di Cutro), realizzate dalle persone con disabilità dei Laboratori "Naufragi - Approdi".

Un mare di porti lontani: continua il tour nelle varie città italiane

19 Aprile 2024 - Roma - Dopo la presentazione dello scorso 4 aprile del film “Un mare di porti lontani” continua il tour in diverse località italiane. Ecco le prossime date: il 22 a Firenze h 19, Spazio Alfieri; il 29 aprile a Viaccia (Po) h 21 al Circolo La Libertà; il 2 maggio a Antella (Fi) h 21 al Circolo Ricreativo culturale CRC; il 4 maggio a Greve in Chianti (Fi), h 21 alla Casa del popolo e il 17 maggio a San Casciano (Fi), h 21, al cinema Everest.  

Augusta: ricordato il naufragio di 9 anni fa con la morte di 1100 migranti

19 Aprile 2024 - Siracusa - Nove anni fa un tragico naufragio al largo di Lampedusa ha causato la morte di 1.100 migranti. Il relitto dove si consumò la tragedia è stato recuperato dai fondali e adesso si trova nel porto di Augusta. Il Comitato 18 Aprile (che accoglie anche l'associazione Stella Maris presieduta dal parroco Don Giuseppe Mazzotta) chiede che lo scafo venga conservato perché si preservi la memoria della strage in mare.  Ieri il Comitato, in collaborazione con la diocesi di Siracusa, la Guardia costiera, la Stella Maris, l'Autorità di sistema portuale del mare della Sicilia orientale, il Comitato Welfare, la Fondazione Migrantes e la Caritas diocesana, ha organizzato ad Augusta una giornata commemorativa in memoria del naufragio, con un convegno in mattinata, presso la Chiesa del Cristo Re, e una Celebrazione eucaristica, alle 18.30, davanti al relitto. "Nessuno ha sentito il grido di uomini e donne, nessun ha sentito un lamento: morivano nel silenzio e nell’indifferenza di un mondo che sceglie chi accogliere e chi abbandonare, chi salvare e chi lasciare morire", ha detto il presidente della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego intervenuto all'incontro: "i morti dormono nel 'cimitero del Mediterraneo' insieme ad altri 50.000 che negli ultimi 30 anni riposano in fondo al nostro mare. Mentre piangiamo queste morti, vergognandoci per non aver gridato abbastanza i loro diritti, attorno a noi abbiamo sentito, in questi dieci anni parole di rifiuto, quasi di guerra per loro". Le persone che sono morte nel Mediterraneo in quella tragica notte - - ha detto ancora il presidente della Migrantes - non avevano il diritto di rimanere nella loro terra, sfruttata da Dittatori, militari in connivenza con multinazionali e governi. E non hanno avuto il diritto di migrare in una nuova terra. Dopo essere stati sfruttati, picchiati, violentati, dopo aver visto la morte di familiari e amici sono morti lontano dalla loro terra. Soli. Abbandonati. Pietà di noi, Signore". Il barcone oggi, per le nostre Chiese, per le nostre città, per il nostro Paese e per l’Europa, è “un segno dei tempi” che "ci invita a guardare altrove": "non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro, l’accoglienza, un volto diverso delle nostre città. In altre parole, il barcone chiede di guardare oltre noi stessi, guardare al domani con ‘occhi nuovi’. Per l'arcivescovo di Siracusa, mons. Francesco Lomanto, "ricordare per noi significa portare nel cuore. Significa fare passare dal nostro cuore e allora è un ricordo pieno, ricco di affetto. Il ricordo pieno di affetto è un pensiero che si trasforma in preghiera. E questa preghiera vogliamo affidarla al Signore Gesù che ha dato la sua vita per noi. Perché nella morte e nella risurrezione di Cristo trova senso la morte di ogni uomo, la sofferenza di tutti". (Raffaele Iaria)  

Shaman Alawawi: da Aleppo al Centro Giorgio La Pira

19 Aprile 2024 -

Firenze - «Con i miei fratelli nascondevamo i libri di scuola tra gli alberi, o addirittura li seppellivamo perché nessuno scoprisse che stavamo ancora studiando. Studiavo di nascosto, di notte, perché i terroristi impedivano di seguire i programmi scolastici del governo», racconta Shaman Alawawi seduto in una saletta del Centro internazionale studenti Giorgio La Pira di Firenze. I programmi vietati erano quelli del governo di Damasco, i censori i jihadisti fanatici nemici di Assad imponevano le regole del Califfato. «Chi veniva scoperto con i libri scolastici approvati da Damasco era punito con la prigione. Alcune volte si arrivava fino alla pena di morte. Volevano solo diffondere la loro oscura ideologia piena di violenza e di odio». Datemi un libro e una penna e sarò un “inventore di sogni realizzati”. Libera interpretazione, questa, di un’antica massima: ma il prezzo pagato per costruirsi un futuro da questo giovane ingegnere siriano, 28 anni, che da poche settimane frequenta all’università di Firenze il master in Mechanical engineering for sustainability, ha dell’incredibile. Per questo, da quando a inizio gennaio è arrivato in Italia continua a ripetere, in un italiano ancora un poco stentato: «Mi sento come se fossi nato di nuovo, come se fossi passato dalle tenebre alla luce». L a sfida della conoscenza, come riscatto personale e della sua comunità, è davvero una “piccola Odissea”. Il regime imposto dal terrorismo jihadista avrebbe dissuaso molti, non questo ragazzo dai lineamenti mediorientali e un sorriso mite. Specchio, certo, di una tenacia d’acciaio: «Non mi sono arreso – racconta –. Ho continuato a preparare i programmi della scuola secondaria da solo, senza insegnanti e senza l’aiuto di nessuno». Una fatica enorme, soprattutto «dovendo studiare inglese e matematica da solo». Autodidatta, e in un Paese dilaniato dalla guerra civile iniziata l’11 marzo di 13 anni fa, e che prosegue tuttora sia pure a bassa intensità: la Siria che dopo il terremoto del 6 febbraio dell’anno scorso ha visto aumentare la povertà. Su una popolazione di circa 22 milioni di abitanti nel 2023 più di 15 milioni di persone – secondo le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite – necessitano di assistenza umanitaria (700mila in più rispetto all’anno precedente), gli sfollati interni sono 6,6 milioni e i rifugiati nei Paesi confinanti sono 6,8 milioni. Cifre di una catastrofe umanitaria che pare inarrestabile e che riaffiora nelle parole di Shaman: «A causa dei combattimenti, io e la mia famiglia siamo sfollati da Hober, il nostro villaggio, in uno vicino chiamato um-Alamad: la nostra casa era stata distrutta dai bombardamenti. Per parecchi mesi abbiamo vissuto in una tenda». Ma anche lì si può avere la forza di progettare un futuro migliore. E pensare agli esami di fine scuola superiore. «Quando si è avvicinata la data degli esami, mi sono organizzato per recarmi nel centro di Aleppo perché tutte le sedi di esame erano lì: l’esercito, allora, aveva il pieno controllo solo di quella parte della città». Un tragitto che, normalmente, richiede meno di un’ora a piedi. «Tutte le strade erano interrotte a causa dei combattimenti e quasi tutte le vie di accesso alla città erano presidiate da dei cecchini. C’era una sola strada, controllata dall’esercito, attraverso la quale si poteva entrare in città, la famosa autostrada M5: per arrivarci ho dovuto camminare per un giorno intero a piedi, costeggiando, attraverso i villaggi, il perimetro esterno della città», racconta il giovane ingegnere siriano disegnando su un foglio di carta nel baretto del Centro internazionale studenti La Pira una improvvisata cartina. Alloggi di fortuna, alcune notti da conoscenti, una notte all’interno della università, altre ancora dormendo sotto i portici della moschea. «Un mese da solo, lontano dalla famiglia durante i quali ho sostenuto tutti gli esami di Stato». Poi il ritorno a casa dalla famiglia e l’attesa dei risultati. Con tutta l’incertezza di chi, da anni ormai, non incontrava più di persona un insegnante. Poi, dopo un mese di attesa, nell’agosto del 2014 la pubblicazione dei risultati: «Ero riuscito a superare gli esami con un punteggio di 215 su 240» esclama con orgoglio. Un primo passo, del tutto insperato. Il prossimo obiettivo l’università. Una lunga traversata anche questa. La guerra civile rende sempre più insicuri i villaggi fuori Aleppo. Da qui la decisione di Shaman, con tutta la famiglia, di cercare una qualche sistemazione ad Aleppo, nei quartieri sotto il controllo del governo: «Una fuga di notte, di nascosto dalle milizie jihadiste che se ci avessero scoperto ci avrebbero impedito di andare ad abitare nella zona controllata dal governo». Pochi vestiti e oggetti raccolti in “valigie di cartone” e dopo un lungo cammino i primi due giorni passati in un parco. Poi la famiglia trova riparo in una scuola, dove era stato allestito un centro di raccolta per i profughi, e viene assegnata loro una stanza: Shaman è il maggiore con due fratelli (ora di 18 e 15 anni) e una sorella (ora di 22 anni) che vivono con i due genitori. Altri due fratelli di Shaman (ora di 27 e 25 anni) vivevano da tempo in Libano: «La mia famiglia è povera, così uno zio li ospita e si prende cura di loro», prosegue sempre con tono calmo Shaman nel suo racconto. «Quella stanza era tutto: un posto dove vivere, dormire, cucinare, ed era il luogo dove studiavo». Sacrifici che solo la determinazione di chi ha un futuro da costruire possono superare: «Io sono in un angolo, la mia famiglia è davanti a me: parlano seduti e dormono. I miei fratelli più piccoli giocano, sempre in quell’unica stanza. E io sono per ore e ore in quell’angolo a studiare, perché mi sono iscritto all’università di Aleppo: sono stato ammesso alla Facoltà di ingegneria meccanica». Per anni, fra una distribuzione di cibo nella scuola dei fratelli maristi e un sussidio statale, Shaman continua la sua vita da “ladro di sapere” in uno dei Paesi più poveri del mondo.

L a foto che conservano ancora i Fratelli maristi è di quelle che non si dimenticano: un tavolaccio di legno sostenuto da tre gambe del tavolo. Una quarta gamba è fatta da pietre e mattoni in pigna. Sono stati i Maristi blu, il gruppo di volontariato sostenuto dalla congregazione dei maristi, a regalare a Shaman un pc portatile: strumento indispensabile per uno studente iscritto alla facoltà di ingegneria meccanica di Aleppo. La luce elettrica intermittente, il freddo senza avere legna o cherosene per le stufe alcune delle difficoltà nella lotta quotidiana per vivere, oltre che studiare. E la paura dei bombardamenti: «Quando i colpi di mortaio smettevano di cadere – ricorda Shaman –, continuavo a correre verso l’università per arrivare in tempo alla lezione». Il sogno di una specializzazione all’estero per i giovani di Aleppo resta un miraggio. Navigare sul web cercando corsi post-laurea potrebbe essere un passatempo malinconico, se non ci fosse determinazione e l’aiuto di qualche “angelo custode”: «Il fratello marista George Sabe, il dottor Nabil Antaki, Leyla Moussalli responsabili dei Maristi blu, il giornalista spagnolo Ivan Benitez mi hanno sempre sostenuto, assicurandomi che mi avrebbero fornito il supporto necessario». Angeli custodi e la determinazione di inviare richieste in inglese a tutte le università in Europa, o quasi: 20 o 30 mail al giorno. Insperata la risposta con l’indicazione di compilare un modulo per l’università di Firenze. E due mesi dopo – come un lampo nella notte – la notizia che la domanda di iscrizione era stata accolta. Poi, grazie a un amico, il contatto con Joseph Farruja, il responsabile dell’accoglienza del Centro internazionale studenti La Pira, mentre la ong “Eccomi” (legata al Masci) ha sostenuto il costo del viaggio. Ottenere il visto un’Odissea burocratica: tre mesi di attesa solo per stampare il passaporto e poi il viaggio fino all’ambasciata italiana in Libano – la Siria non ha relazioni dirette con l’Italia – e una attesa snervante per altri sei mesi. «Il primo passaporto non essendo biometrico non era stato accettato: ho pianto di rabbia quando l’ho saputo. Allora Frère George mi ha calmato e mi ha detto; abbi speranza». E il 18 dicembre scorso, insperata, la notizia: visto accolto.

Ora, da poche settimane, Shaman ha iniziato a frequentare le lezioni del master biennale, e da inizio gennaio i corsi di italiano per stranieri del Centro internazionale studenti La Pira. Inaugurato nel 1978 - pochi mesi dopo la morte del “sindaco santo” di Firenze - il centro nacque grazie all’intuizione del cardinale Giovanni Benelli che, constatando la solitudine e il disorientamento dei numerosi studenti stranieri presenti nella città, mise a disposizione alcuni locali nel centro storico, chiedendo aiuto per la gestione al movimento dei focolari di Chiara Lubich. «La mia vita era piena di paura, tristezza e sofferenza. Questa è la prima volta nella mia vita che vivo come uno studente: mi sembra di essere rinato», conclude Shaman. E il sogno di Giorgio La Pira di fare del Mediterraneo un “Lago di Tiberiade” attraversato da rotte di pace, sopravvive in questi tempi di guerra. (Luca Geronico - Avvenire)

Centro Astalli: presentato oggi il rapporto annuale

18 Aprile 2024 - Roma - Il Centro Astalli ha presentato oggi a Roma il suo rapporto annuale. All’incontro ospitato dalla Curia Generalizia dei Gesuiti, in Borgo Santo Spirito, moderato dal giornalista di Avvenire Luca Liverani, hanno partecipato esponenti delle istituzioni e rappresentanti delle diverse religioni, a testimonianza della rete di dialogo intrecciata dal Centro sul territorio, collaboratori, volontari e alcuni tra i rifugiati sostenuti dal Centro, che nel 2023 in Italia sono stati in tutto circa 22.000. È stata l’occasione per ripercorrere l’anno delle migrazioni appena trascorso attraverso la lente dell’impegno quotidiano di questa importante realtà, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), fondata da padre Arrupe oltre 40 anni fa e da allora attiva al servizio di chi arriva in Italia in cerca di protezione. Prendendo spunto dal rapporto, si è riflettuto sui bisogni e gli ostacoli, vecchi e nuovi, sempre in crescita, che attendono chi lascia il proprio Paese nel sud del mondo diretto in Europa, sulle risposte politiche e normative che il continente ha fornito a questo fenomeno, confermatesi miopi ed inefficaci anche nel 2023, esclusivamente orientate alla chiusura e al respingimento a discapito dei diritti umani. Ma si è ragionato anche sui risultati raggiunti, e sull’idea che sta alla base di ogni iniziativa del Centro Astalli, di riconoscimento in ogni essere umano dell’inviolabile dignità della persona. Dopo i saluti del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che ha ringraziato il Centro per il suo fondamentale lavoro in città – 11.000 persone sono state accompagnate nel 2023 solo a Roma – ed espresso il proposito dell’amministrazione di potenziare servizi e accoglienza in favore delle persone migranti, è intervenuto padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, che ha anticipato come si sono declinate nel 2023 le tre azioni che compongono la missione del Centro: accompagnare con servizi di prima accoglienza, servire favorendo l’inclusione e la promozione personale, difendere i diritti a livello legale e mediante la sensibilizzazione. Citando papa Francesco, Ripamonti ha sottolineato la complessità del fenomeno migratorio, non conciliabile con l’approccio emergenziale che ha caratterizzato l’intervento legislativo in materia (anche) nello scorso anno. Ha avvertito che le persone arrivano in Italia sempre più vulnerate, da percorsi migratori sempre più traumatici, e che anche sul territorio nazionale i bisogni sono in esponenziale aumento, compresi quelli essenziali relativi all’abitare e alla salute mentale. Monsignor Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, ha raccontato l’esperienza della sua città, situata lungo una frontiera permeabile, punto di arrivo di una rotta migratoria che dal sud est asiatico risale attraverso i Paesi balcanici sino in Italia per poi proseguire verso il nord Europa, ed è affollata di giovani e persino bambini, spesso in viaggio con la loro intera famiglia. Trevisi ha descritto la crisi dell’accoglienza in città, simboleggiata dal vecchio silos sul porto, esposto alle intemperie e in condizioni igieniche critiche, in cui si riparano centinaia di richiedenti asilo in mancanza di posti nell’accoglienza cui pure avrebbero diritto. E ha raccontato del dormitorio allestito dalla Caritas per offrire un letto e beni di prima necessità a chi si ferma per una sola notte prima di proseguire il suo cammino. Questa ed altre iniziative di volontariato intraprese dalla società civile triestina non possono essere la soluzione al problema, ha detto il vescovo, ma, in attesa di interventi strutturali, consentono di sanare la dignità violata di persone provate da un viaggio violento e da un’accoglienza inumana e al tempo stesso quella di una città che, girandosi dall’altra parte, tradirebbe la propria umanità. Nell’ultimo intervento, la direttrice dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci ha fornito un’analisi delle politiche migratorie europee, improntate da decenni all’obiettivo della chiusura dei confini tramite l’esternalizzazione dei controlli delle partenze, delegati ai Paesi di transito delle rotte migratorie. Queste politiche non hanno mai funzionato, ha spiegato Tocci, a causa dell’instabilità dei regimi con cui sono siglati gli accordi e dell’impossibilità di frenare il movimento umano. Servono invece accoglienza, che il Centro Astalli pratica ogni giorno e che anche l’UE ha saputo predisporre in favore dei profughi ucraini, e sostegno a chi sceglie di restare nel Paese d’origine per combattere le cause dell’emigrazione. Alla presentazione, i numeri e i fatti del rapporto hanno preso corpo e voce in Maurice, nigeriano, e Darya, bielorussa, testimoni delle violazioni dei diritti umani subite nei loro Paesi – gli effetti del riscaldamento globale e la lotta per risorse sempre più scarse, la violenza dell’estremismo, la repressione del dissenso e delle libertà civili – e nel viaggio migratorio, a rischio della vita attraverso la violenza della Libia e le onde del Mediterraneo. In Italia, Maurice ha ripreso gli studi e Darya ha trovato protezione per sé e suo figlio, e ora entrambi progettano di impegnarsi in difesa dei diritti di chi vive oggi le loro stesse esperienze. Le loro storie di fuga dolorosa lenita da un’accoglienza sana, che ha consentito la promozione delle loro forze, è la presentazione migliore che il Centro Astalli potesse avere. (Livia Cefaloni)