14 Giugno 2023 – Roma – “Per me questo non è altro che un ulteriore segno della manifestazione dell’amore di Dio nei miei confronti e allo stesso tempo una grande responsabilità che mi offre la possibilità di mettermi al servizio degli altri. Spero che il Signore mi aiuti e mi dia la grazia affinché io veda il Suo volto in quello del mio prossimo e che io abbia la grazia per considerare il diverso come abitazione dello Spirito santo”. Lo dice al quotidiano “Osservatore Romano” don Anton Kodrari, da poche settimane nominato coordinatore nazionale Migrantes della pastorale dei cattolici albanesi in Italia dal Consiglio Episcopale Permanente della Cei. Dopo aver raccontato la sua storia al giornale vaticano il sacerdote, incardinato nella diocesi di Fiesole, spiega che quella albanese è “una comunità che mantiene ancora saldi legami familiari tra una sponda e l’altra dell’Adriatico, ma che si è integrata perfettamente nel tessuto sociale e culturale italiano. Molti albanesi, soprattutto quelli emigrati in età adulta, sono ancora legati alle tradizioni religiose delle terre natie; da qui la necessità di un grande piano pastorale incentrato anche sul rapporto con i sacramenti del battesimo, della confessione e del matrimonio”. L’arrivo degli albanesi in Italia può dividersi in tre periodi storici distinti e in altrettanti gruppi. I primi che arrivarono furono gli Arbëreshë che, a seguito della morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg e alla conseguente avanzata degli ottomani, si stabilirono in Italia nel XV secolo per non abiurare alla propria fede. Proprio agli Arbëreshë è legata l’immagine della Madonna del Buon Consiglio che la tradizione vuole sia stata trasportata dagli angeli, assieme a due pastori scutarini che la seguirono senza accorgersi di nulla, dall’Albania alla città di Genazzano, a pochi chilometri da Roma, spiega il sacerdote. Il gruppo Arbëreshë, ancora oggi, fa parte della Chiesa italo-albanese, una Chiesa sui iuris di tradizione bizantina e in piena comunione con il Papa. Il secondo gruppo è formato da coloro che subirono la diaspora albanese che vide la fuga e l’esilio di sacerdoti, politici e di tante altre persone con l’instaurarsi della dittatura comunista. Il terzo gruppo arrivò invece negli anni ’90 con la caduta del regime comunista e si è distribuito geograficamente in tutta la Penisola. I cattolici albanesi del secondo e terzo gruppo “utilizzano il rito romano nell’amministrazione dei sacramenti, nella settimana santa, nelle feste di precetto e in tutte le manifestazioni della liturgia cattolica”. Don Kodrari evidenzia che la Chiesa italiana ha “sempre espresso vicinanza e affetto verso tutte le Chiese e in modo particolare a quella della mia terra di origine dove, dalla caduta del regime, ha sempre inviato missionari, suore e volontari laici per rialzare e fortificare la Chiesa di Albania tanto provata dagli anni della dittatura. Non sono mancati gli aiuti umanitari, l’invio di materiale sanitario e negli ultimi anni tanto si è investito nell’istruzione e la formazione umana con scuole e università”. Per quanto riguarda “il contributo del mio ufficio, con l’aiuto di tanti collaboratori, cerchiamo di diffondere la Parola celebrando la messa in lingua albanese, confessare quanti non conoscono l’italiano, dare un aiuto concreto e caritatevole a quanti hanno bisogno e, non ultimo, organizzare pellegrinaggi per le festività a noi più care come la Madonna del Buon Consiglio e la festa dei martiri d’Albania”. (Raffaele Iaria