7 Gennaio 2022 – Vicenza – «Perché non puoi parlare con Dio nella tua lingua quotidiana?». Detto fatto. Così quest’anno le preghiere per la Messa dell’Epifania in Cattedrale a Vicenza, sono state tradotte anche nelle lingue native dell’Africa. L’idea è di padre Sergio Durigon, nuovo delegato vescovile per l’Ufficio Migrantes della diocesi di Vicenza, che con l’Eucaristia del 6 gennaio celebra anche la Festa dei popoli. «Sono nato in Brasile – spiega padre Sérgio, 56 anni, scalabriniano –. Lì ho fatto il Seminario. A Roma ho studiato teologia. Una decina d’anni in Sudafrica, poi in varie diocesi italiane. Culture, lingue, migrazioni sono elementi che mi appartengono, per storia familiare, vocazione e scelte di vita».
Quest’anno la festa ha avuto ancora il sapore amaro della pandemia. Ieri mattina la Messa, presieduta dal vescovo Beniamino Pizziol, pur animata da canti e suoni, era molto meno affollata. Anche perché mancavano le comunità ortodosse. «Poiché a Vicenza sono stati unificati i calendari – continua Durigon – una parte degli ortodossi che celebrano anch’essi l’Epifania il 6 gennaio ha preferito festeggiare in separata sede. Non dimentichiamo, poi, che alcune comunità, come i filippini, si sono molto ridotte, perché tanti hanno preferito migrare in cerca di fortuna altrove».
«Quotidianamente ci arrivano notizie di migranti infreddoliti nei recinti della rotta balcanica, o picchiati dai miliziani al confine tra Bielorussia, Polonia e Lituania, torturati nei centri di detenzione in Libia, bersaglio dei fucili spianati a Ceuta e Melilla. Papa Francesco parla di “Verso un noi sempre più grande” e individua nell’abbattimento dei muri uno degli strumenti per la salvezza umana».
Ma anche nel Vicentino, nonostante la presenza di immigrati sia quasi trentennale, la costruzione di ponti è ancora difficoltosa. «La celebrazione del 6 gennaio non può essere isolata dal contesto, dev’essere parte della vita del territorio. Molte persone continuano ad avere paura dello straniero. Ed è una paura dettata dalla mancanza di conoscenza. D’altra parte, le prime generazioni di migranti vivono di ricordi, di tipo affettivo, religioso, gastronomico, ornamentale. La reciprocità, la relazione di mutuo riconoscimento è realtà ancora di là da venire», ha concluso padre Durigon. (Romina Gobbo – Avvenire)