15 Aprile 2021 – Per non fraintendere o ridurre la Resurrezione solo ad un aspetto morale, occorre sostare sulle parole e sui gesti del Risorto.
I Vangeli, ce ne saremo accorti, non percorrono la via della dimostrazione della Resurrezione ma quella della fede. Che non è meno documentata delle ‘prove’ empiriche.
I discepoli non ‘cercano’ attorno al sepolcro e credono alle parole dell’angelo: “non è qui!”. ‘L’altrove’ non tarda a manifestarsi in incontri non richiesti né cercati ma che avvengono e li illuminano: nel Cenacolo, con e senza Tommaso, ad Emmaus, sul lago di Tiberiade o come quello di questa domenica, così come lo descrive l’evangelista Luca. Pur nella diversità delle esperienze, questi racconti non si contraddicono mai; anzi, essi concordano sempre in tre cose: c’è un turbamento dei discepoli, l’iniziativa del Maestro e una prova ‘sensibile’.
Il Vangelo questa domenica racconta di Gesù che raggiunge i discepoli, impauriti e turbati e dice: “toccatemi!”. E aggiunge: “avete qualche cosa da mangiare?”
La Resurrezione attiva una nuova esperienza: la percezione. Percepire è oltre il capire.
Capire è un’esperienza che si ferma a ciò che si vede. Percepire è un’esperienza che abbraccia tutto ciò che si vede ma anche ciò che è nelle disponibilità o nelle possibilità di un’esperienza, anche grazie all’intuizione. Non è vedere ‘fantasmi’ ma cose e fatti nella loro interezza, completezza, profondità.
Dinanzi alla Resurrezione, la percezione dei discepoli non è uno sforzo umano ma la disponibilità a muoversi su questo piano in risposta ai ‘segni’ dell’incontro e dell’offerta, proposti da Gesù!
Ecco: la Resurrezione è la comprensione di ciò che di bello e di buono c’è ed esiste; la Resurrezione è ciò che libera nell’uomo forze ed energie, che nemmeno immagina di avere, e lo fa vivere! Che l’uomo viva, è la prima di tutte le leggi.
E tutto ciò che va in questa direzione ci dice che siamo figli della Resurrezione. Non ne possiamo fare a meno! (p. Gaetano Saracino)