22 Febbraio 2021 – Roma – «La comunità cristiana è chiamata a un ruolo generativo nella fede, nell’esperienza umana più piena e ciò significa favorire tutti quei processi che sono nella logica dell’accoglienza e dell’integrazione». Sono queste le parole dell’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicegerente della diocesi di Roma, chiamato a tirare le fila dell’incontro su “Integrazione: un viaggio di andata e ritorno. Dall’accogliere all’essere accolti in un processo di inserimento nella società che si abita”, trasmesso sabato 20 febbraio sulla piattaforma Zoom e promosso dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese, dall’Ufficio Migrantes e dalla Caritas diocesana nell’ambito del ciclo di formazione missionaria. «In questa prospettiva – ha concluso l’arcivescovo – è realmente padre e madre chi favorisce il movimento, il protagonismo di ciascuno e chi cerca di cogliere l’altro come una enorme risorsa per tutti».
“Accogliere” è il verbo che ha ispirato l’intervento del primo relatore dell’incontro, padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e rifugiati del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, la cui riflessione si è dipanata da alcuni brani dell’enciclica “Fratelli tutti”. «Sono tre i momenti che Papa Francesco riconosce parte dell’accoglienza: superare la chiusura in sé stessi; prestare attenzione, ovvero riconoscere che l’altro c’è e non è invisibile; infine, aprire la propria cerchia», ha commentato padre Baggio, sottolineando i verbi caratteristici di un atteggiamento autenticamente accogliente. «Accogliere significa ascoltare, incontrare chi non conosciamo e bussa alla nostra porta – ha proseguito -. Ma significa anche aprirsi alle periferie a noi ignote per trovare una dimensione di reciproca appartenenza». Un’apertura che acquista senso solo se non comporta la rinuncia al valore profondo della propria identità, la base grazie alla quale «possiamo accogliere l’altro e offrirgli qualcosa di prezioso». Ancora, accogliere significa anche «rispettare e fare il bene, perché l’amore verso il prossimo non aspetta mai qualcosa in cambio». È un cammino, quello dell’accoglienza, che richiede inoltre tanta responsabilità e preparazione: «Coloro che disegnano i programmi di catechesi e pastorale giovanile devono fare in modo che tutti questi elementi diventino una costante del loro percorso».
Un’analisi sulla costruzione sociale dell’immigrazione è stata invece condotta dal sociologo Maurizio Ambrosini, docente all’Università degli Studi di Milano. «Gli immigrati sono persone che stanno sotto una doppia alterità: sono stranieri ma anche poveri. È un termine che contiene sempre un implicito significato svalutativo e minaccioso – ha spiegato -. Non è infatti l’alterità in sé ma è l’alterità delle periferie esistenziali e sociali che turba le società riceventi e fa nascere la domanda di integrazione». Dopo aver passato in rassegna le drammatiche differenze tra la rappresentazione corrente dell’immigrazione e la sua evidenza statistica, il sociologo ha sottolineato i limiti di un sistema di politiche migratorie selettive e ambiziose in cui conta solo «il potere dei passaporti, dei portafogli e delle professioni». Come dunque costruire in questo scenario una integrazione autentica, libera da pregiudizi e atteggiamenti latenti? Bisogna puntare, secondo Ambrosini, «sul riconoscimento dei bisogni degli immigrati; sulla scoperta delle loro risorse; sulla promozione di relazioni paritarie in cui gli immigrati siano trattati da responsabili; infine, su un aiuto emancipante che renda libere le persone. Così – ha concluso – scopriremo i ritorni di una società più coesa e plurale». (RomaSette)