Vangelo Migrante: IV domenica di Avvento (Vangelo Lc 1,26-38)

17 Dicembre 2020 – Dove abita Dio? Dire: ‘in cielo, in terra e dappertutto’, è una risposta alquanto vaga. Nel Vangelo odierno, l’annuncio dell’angelo e il sì di Maria, invece, ci dicono che Dio abita dove lo si lascia entrare.

Il resto è girare attorno e fare come Davide (prima lettura) che alla fine di una vita costellata di vantaggi e di successi ottenuti in nome di Dio, si accorse di una grave dimenticanza: Dio non aveva ancora una casa, abitava sotto una tenda. Per rimediare, avrebbe voluto costruirgli un tempio, ma Dio non volle. Non poteva accontentarsi di una casa accanto a quella di Davide. Dio voleva una casa insieme a lui. E Dio stesso la realizzerà: sarà una casa nuova e diversa rispetto a quella progettata dal Re. Sarà una casa nella quale Dio sarà Padre e Davide, e la sua discendenza, saranno figli.

Davide è una profezia: parla di noi, del destino di ogni uomo e dell’umanità nel suo insieme. Preoccupati da forme di paura e occupati in fatiche per costruirci una casa, un territorio nostro, anche con dei confini marcati, alla fine ci accorgiamo che Dio è rimasto fuori. Dio è un ‘attendato’, … o un naufrago.

A differenza di Davide, Maria si dichiara da subito “la serva del Signore”, totalmente disponibile alla Sua iniziativa. Rassicurata dall’angelo, abbandona i suoi progetti: “avvenga per me secondo la tua parola”. Maria apre la porta del suo cuore a Dio, lo lascia entrare. Offre la sua umile disponibilità alla collaborazione, consapevole della povertà delle proprie risorse, ma certa che Dio le renderà sufficienti per l’opera che deve compiere. Intuisce che il compito è difficile ed esigente, percepisce però di non essere sola, sa di poter trovare gioia facendosi serva e fidandosi della parola del Signore. Maria lascia che si edifichi nel suo grembo il perfetto tempio di Dio. Non una costruzione fatta da mano d’uomo, ma dall’opera del Padre che attraverso l’azione dello Spirito Santo, e la disponibilità di un’umile ragazza d’Israele, realizza l’incarnazione del Verbo, appunto il perfetto tempio di Dio.

Tocca agli uomini diventare il tabernacolo di un Dio che si fa uomo.

E noi, quell’Uomo, lo lasciamo entrare? Sappiamo accoglierlo? Siamo consapevoli che Dio rende sempre sufficienti le nostre povere risorse, se sappiamo fidarci di Lui? Oppure viviamo ancora nell’illusione e nell’affanno di costruirci una casa, una patria da soli, con recinti e steccati, per dare un senso alla nostra vita?

Se non ci liberiamo da questa illusione e da questa presunzione, inevitabilmente la nostra vita sarà affannosa e affannata. E, alla fine, sterile e inutile.

p. Gaetano Saracino

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