Vangelo Migrante: XXIV domenica del Tempo Ordinario (Vangelo 18, 21-35)

10 Settembre 2020 – Il Vangelo non è spostare un po’ più avanti i paletti della morale ma è la bella notizia che l’amore di Dio non ha misura.

Pietro sa per esperienza che a certe persone è quasi impossibile cambiare la testa e con la sua domanda tenta di orientare la risposta di Gesù: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette?”. Insomma: va bene essere generosi nel perdonare, ma fino ad un certo punto! E Gesù: “non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”: quello che Pietro ritiene inopportuno, per Gesù è necessario.

Dio, il re della parabola del Vangelo, non è campione di diritto ma di compassione. Sente come suo il dolore di un suddito che lo implora dinanzi ad un debito stratosferico e sente che questo conta più dei suoi (del re) diritti. Il dolore di ‘quel tale’ pesa più dell’oro. In questo è davvero regale. E non servile come ‘il tale’ che, nonostante il beneficio ottenuto, ‘appena uscito’, trova uno nella sua stessa condizione e prendendolo per il collo, quasi lo strangola dicendo: “dammi i miei cento denari” (centesimi). Lui che era stato perdonato di miliardi! Eppure ‘il tale’ non esige nulla che non sia un suo diritto: vuole essere pagato. È giusto e spietato. Onesto e crudele, al tempo stesso. Di sicuro dimentico del grande beneficio appena ottenuto.

Sull’equilibrio tra dare – avere e dei conti in pareggio, Gesù propone la logica di Dio, quella dell’eccedenza: perdonare ‘settanta volte sette’. Un atteggiamento che non chiude i conti ma aggiunge la contabilità degli altri. Il perdono di Dio non è ‘farla franca’ per assicurarsi una condotta libera e senza punizioni nonostante tutto, ma ha uno scopo: leggere diversamente le mancanze altrui. Chi è stato perdonato, perdona. Chi non perdona è chi non ha assimilato il perdono (prima lettura).

Il problema è che è difficile farsi perdonare. Perché? Perché Il perdono è imbarazzante: è un ricevere senza dare nulla in cambio. Nel perdono i conti non tornano. Mai. Di fronte al perdono traboccante di Dio siamo semplicemente poveri …, perché non abbiamo nulla in cambio da dare. E allora reagiamo con l’altezzosità, fino a pensare di meritare, in fondo, quello che Dio ci sta dando; mentre Dio, disarmante, fa per davvero tutto gratuitamente.

A dirla tutta, noi non ci meritiamo nemmeno di vivere: siamo vivi perché siamo amati. Tutti, nessuno escluso. Lo possiamo capire solo stando dinanzi a Dio per come Lui è e per come noi siamo: debitori.

E vivere da debitori davanti a Dio è vivere con il cuore visitato dalla carezza stessa di Dio che spesso ha la forma della mano di un fratello che chiede di essere tirato su!

Questo è la porta della pace!

p. Gaetano Saracino

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