8 Settembre 2020 – Ebbene, lo diciamo con un sentimento di grande commozione, e di profonda gratitudine a Dio; sì; alla Nostra famiglia, non così povera in verità come ad alcuno piacque presentarla, ma soprattutto ricca di doni celesti: agli esempi dei Nostri buoni genitori, papà e mamma, sempre scolpiti nel cuore: all’atmosfera di bontà, di semplicità e di rettitudine che abbiamo respirata fin dall’infanzia, dobbiamo gran parte della Nostra vocazione sacerdotale ed apostolica. (Discorso del Santo Padre Giovanni XXIII alle partecipanti al IX Congresso nazionale del Centro italiano femminile, III Domenica di Quaresima, 1 marzo 1959)
A meno di due mesi dall’Angelus commentato nell’articolo di settimana scorsa, papa Giovanni torna sul tema della famiglia incontrando le partecipanti al IX Congresso nazionale del Centro italiano femminile: un’associazione nata nell’ottobre del 1944 (ed ancora esistente) come collegamento di donne e di associazioni di ispirazione cristiana, per contribuire alla ricostruzione del Paese attraverso la partecipazione democratica e l’impegno di promozione umana e di solidarietà. A queste donne riunite in assemblea, il Papa rivolge un esteso discorso in cui, anche in questa circostanza, prevale il calore della testimonianza personale. Poco dopo l’esordio, il suo riferimento alla famiglia d’origine è forte, anche perché questa volta il ricordo si fa sentimento di “profonda gratitudine” in ordine anche alla sua vocazione al sacerdozio. Prima di proseguire nel suo dire il pontefice richiama, dunque, l’attenzione su un atteggiamento che non può essere dato per scontato. Al padre, alla madre, all’ambiente in cui nasciamo, nel bene e nel male noi dobbiamo molto di quello che saremo da grandi, lì si impianta come in embrione la nostra vocazione. È un concetto semplice dal punto di vista della comprensione, ma ciò nonostante non sempre facile da vivere con consapevolezza ed il Papa sembra spontaneamente portato a tornarci più volte offrendo anche a noi oggi uno stimolo a rifletterci. Conseguentemente a ciò Giovanni XXIII prosegue il suo discorso affidando alle donne presenti e a quelle del mondo, più in generale, “l’amore alla famiglia, intesa come naturale ambiente per lo sviluppo della personalità umana, e come provvidenziale rifugio, nel quale si placano e si addolciscono le tempeste della vita, si spengono gli allettamenti delle inclinazioni indisciplinate, e si combattono gli influssi dei mali esempi”. Qui, nel linguaggio, ma anche nella sostanza percepiamo la distanza dei tempi, se non altro perché oggi siamo purtroppo abituati a considerare che molte delle difficoltà delle famiglie – a partire dalle violenze domestiche – nascono all’interno di esse e anzi si cercano fuori le agenzie tese alla cura e al risanamento delle stesse. Forse, però, anche su questo potremmo fare tesoro dell’insegnamento pontificio. Di fatto sono dall’esterno che arrivano molti degli elementi di disgregazione dei nuclei famigliari e questi ultimi possono proteggersi non chiudendosi in un isolamento anacronistico ma facendo rete coltivando i germi positivi che l’istituzione famigliare, prima ancora che il sacramento del matrimonio, porta con sé. È in quest’ottica che il Papa elogia il Centro italiano femminile, la cui azione sociale ha avuto un impatto notevole nel nostro Paese non solo negli anni della ricostruzione. Oggi il numero delle associazioni famigliari, di ispirazione cristiana e no, è aumentato a dismisura, ma è istruttivo constatare come fin dall’inizio non sia mai mancato il sostegno e la “confortatrice” benedizione dei Papi che si sono succeduti e che non hanno mai smesso di mettere la famiglia al centro del loro interesse pastorale. (Giovanni M. Capetta – Sir)