23 Febbraio 2020 –
Bari – I vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo durante l’incontro che si è svolto a Bari nei giorni scorsi, hanno insistito nel “rafforzare iniziative di conoscenza reciproca, anche agevolando gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, forme di volontariato”. A dirlo, riassumendo i lavori dell’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” davanti a papa Francesco nella Basilica di San Nicola a Bari, è stato l’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa. “Venite e vedete” – ha etto “è stato il nostro motto. Finora, forse si è molto ‘parlato sulle Chiese e le loro realtà’. Ora bisogna passare al ‘parlare con le Chiese e le loro realtà. L’ospitalità, che è tipica della cultura mediterranea – ha detto mons. Pizzaballa – deve iniziare innanzitutto tra noi. In una realtà complessa e articolata come quella mediterranea, intendiamo farci carico delle sue contraddizioni, imparando e insegnando a viverla con speranza cristiana. Siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo, ma certamente avvincente. Per questo abbiamo deciso di continuare a incontrarci, stabilmente, per poter poco alla volta, nei tempi che il Signore ci indicherà, costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti feriti e lacerati una cultura di pace e comunione”.
Questi giorni a Bari con i vescovi cattolici delle Chiese che affacciano sul Mediterraneo sono stati “una bella esperienza di Chiesa, che ci ha avvicinati l’uno all’altro più concretamente”, ha detto il presule: “ci siamo ascoltati e, soprattutto, ascoltato il grido che viene dai territori della sponda sud del Mare Nostrum; ci siamo scambiati esperienze e proposte e, infine, ci siamo dati alcune prospettive”. “Abbiamo voluto – ha quindi detto – ascoltare la realtà nella quale siamo calati. Il Mediterraneo da secoli è al centro di scambi culturali, commerciali e religiosi di ogni tipo, ma è anche stato teatro di guerre, conflitti e divisioni politiche e anche religiose”. Nel presente, “anziché diminuire, tutto ciò sembra aumentare. Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali hanno reso questo bacino centro di interessi enormi”. “Oggi – ha detto ancora mons. Pizzaballa – desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito” ed ha sottolineato che “le nostre Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente sono quelle che pagano il prezzo più alto. Decimate nei numeri, rimaste piccola minoranza, non sono però Chiese rinunciatarie. Al contrario, hanno ritrovato l’essenziale della fede e della testimonianza cristiana. Sono comunità che anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo”. “La ’via della croce’ – ha aggiunto – è propria dell’esperienza delle Chiese del Mediterraneo”. Il vescovo ha quindi parlato del dramma di tanti che “fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà e che hanno cambiato il volto di molte delle nostre Chiese”. Per mons. Pizzaballa il dialogo è “l’altra forma di espressione della nostra vita ecclesiale. Attraverso il dialogo ecumenico tra le Chiese ci impegniamo a organizzare stabilmente preghiere comuni per la pace; a istituire, laddove non esistano, comitati interreligiosi soprattutto con i credenti musulmani, per realizzare insieme opere di solidarietà e condivisione. Vogliamo fare crescere e trasformare in esperienza, la fratellanza e la solidarietà umana”. Prima di mons. Pizzaballa a salutare papa Francesco è stato il card. Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo che ha voluto sottolineare che per i vescovi, provenienti da Paesi dove i cattolici sono minoranza, “questo ‘con-venire’ è un segno visibile dell’attenzione e della fraternità fra le Chiese del Mediterraneo”. Come Pastori “ci siamo fatti voce del dolore e della sofferenza delle nostre Chiese e dei nostri popoli”. Il tema dell’emigrazione anche nelle parole del card. Puljic. “Santo Padre – ha detto – a tutti noi è spezzato il cuore per la partenza di molti giovani, causata da guerre, ingiustizie e miseria. Tuttavia, siamo confortati da quei ragazzi che restano, mostrando un coraggio straordinario e un amore grande per il Paese e le persone con cui sono cresciuti”. (Raffaele Iaria)