19 Febbraio 2020 – Bari – “L’altro non è semplicemente a prescindere da me, ma insieme a me, a tal punto che affinché io ci sia, occorre l’altro. L’altro è per me costitutivo”. E’ quanto ha detto mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vice presidente della Cei nella relazione introduttiva sul tema “Alla ricerca della vocazione mediterranea” dell’Incontro Mediterraneo frontiera di pace” promosso a Bari dalla Cei e al quale partecipano 58 vescovi delegati di 19 Paesi del Mediterraneo.
“L’altro è per me costitutivo” e lo è “a più titoli”, ha spiegato: “innanzitutto perché, con la sua alterità da me, mi aiuta a definirmi, a diventare consapevole della mia identità, dei miei contorni personali, del mio profilo diverso e distinto dal suo. Inoltre perché mi invita – con le sue esigenze, con le sue rivendicazioni, ma pure con la sua disponibilità – a non far degenerare la distinzione in distanza: noi ci costituiamo in forza di una dialettica di discontinuità nella continuità. E parlando dei problemi che vivono i paesi del Mediterraneo ha sottolineato che “noi non possiamo limitarci alla denuncia dei crimini e delle ingiustizie, che non dobbiamo peraltro negligere. Abbiamo il dovere di indicare come la strada nella quale il Mediterraneo è immesso sia connessa con il piano divino di salvezza in Cristo, quanto se ne allontani e dove Dio vuole che indirizziamo i nostri passi per rimanere fedeli a lui, Signore della storia”.
Mons. Raspanti ha ricordato il grido del siriano padre Jacques Mourad: “I popoli del Mediterraneo non ne possono più di sofferenze, sangue, violenze, conflitti, distruzioni. Così mi viene dal cuore la richiesta di pregare perché da Bari arrivi questa luce per tutto il Mediterraneo”. In questi giorni i vescovi si confronteranno sui problemi che affliggono la Regione e i popoli del Mare Nostrum: le migrazioni, la povertà, le violenze, la mancanza di istruzione o di cure sanitarie, lo sfruttamento di nazioni, la crisi dell’istituto familiare. Ma, ha aggiunto il vicepresidente della Cei “la storia ci insegna che per la felicità delle persone è basilare più che risolvere le singole criticità, offrire orizzonti di speranza, un sogno da nutrire, un ideale al quale appartenere e di cui essere insieme costruttori”. C’è un tratto – ha detto mons. Raspanti – che caratterizza il Mediterraneo: la presenza “in uno spazio geografico relativamente piccolo” di “una marcata accentuazione delle identità/alterità delle genti che vi abitano”. “Dinamica – ha osservato Raspanti – che non è rimasta al riparo da degenerazioni, come lotte, odio, contrapposizioni”. Non si tratta di mettere “in secondo piano quello che ci divide e puntare su ciò che ci accomuna, correndo i rischi di appiattire le identità e deprezzare i tesori dei popoli”. Si tratta piuttosto di sottolineare come tensioni e abbracci “non hanno mai cancellato il senso di appartenenza reciproca che i popoli del Mediterraneo avvertono in sé”. E ha concluso: “Ciò implica che in questo bacino possa esser richiesto un maggior coraggio al processo del perdono e della riconciliazione, alla corresponsabilità e alla fraternità? Il suono delle parole ‘Dov’è Abele, tuo fratello?’ diventa qui tuono assordante?”. (R.I.)