Festival della Migrazione, Mons. Perego: cittadinanza e democrazia in Italia. Osservazioni sulla riforma della legge della cittadinanza

24 Novembre 2022 – Ferrara – La storia dei processi di democratizzazione delle società politiche occidentali coincide con la storia della progressiva affermazione dei diritti di cittadinanza, attraverso un duplice movimento: l’aumento del numero e del tipo di diritti riconosciuti e garantiti ai cittadini; la progressiva estensione della classe dei cittadini, di coloro cioè che hanno titolo a godere di tali diritti. In un processo di democratizzazione, pertanto, una mobilità crescente e diffusa chiede non di limitare, ma di estendere la cittadinanza. Per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di “cittadinanza”, che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia – scrive Papa Francesco. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli» (Fratelli tutti, 131).

 

  1. Per un nuovo alfabeto: risemantizzare la cittadinanza

Parlare di cittadinanza oggi, anche in relazione al fenomeno dell’immigrazione, significa anzitutto procedere a una sorta di “risemantizzazione” del termine cittadinanza dentro una prospettiva storica cristiana, libera da condizionamenti mediatici e ideologici. Una risemantizzazione che rilegge la cittadinanza a partire da tre luoghi, tre appartenenze. Una prima appartenenza è quella locale, data da una comunità coesa per lingua, tradizione, stili di vita. Una seconda appartenenza è quella nazionale ed europea, diremmo nata dalla modernità, dove contano alcune regole, alcune istituzioni comuni di riferimento. E la terza appartenenza è quella mondiale , quella dell’uomo planetario (Balducci), della fraternità (Ratzinger), che fa valere soprattutto la dignità e l’umanità comune tra i diversi popoli, dentro un processo complesso di dialogo, accordo, scambio dove contano sempre più Organismi internazionali (ONU), che tendono a un “ordine internazionale” (Gonella). Una risemantizzazione del termine cittadinanza che è fondata sulla dinamica uno-molti, locale e globale che intesse e struttura anche la realtà della Chiesa che, anche in questo, si mostra coerente con la storia sociale dell’umanità. Forse è venuto anche il tempo di pensare una nuova prospettiva della cittadinanza: non rendere le persone più “uguali”, ma organizzare il pluralismo e le differenze tra quanti condividono non una comune discendenza, ma una comunità di destino.

Da qui l’ipotesi di una cittadinanza multiculturale: riconoscere, proteggere e attribuire diritti “speciali” a tutela dell’identità culturale come bene costitutivo della dignità umana. Si presenta così alla riflessione la questione dei diritti etnici, ossia di diritti riconosciuti non in capo al singolo individuo, ma al gruppo al quale appartiene (o sceglie di appartenere). Il fallimento del progetto di inclusione basato sul principio di uguaglianza formale e sostanziale ha creato l’etnicità reattiva, con le nuove forme di nazionalismo o di difesa.

 

  1. Magistero città e cittadinanza

 

La cittadinanza è un tema che ha visto approfondimenti nel corso di vari eventi ecclesiali in Italia – dal Convegno di Verona (2006) alla Settimana sociale dei cattolici italiani a Reggio Calabria (2010) – e significativi apporti nel documento CEI dopo Il Convegno ecclesiale di Verona[1], nel documento preparatorio (nn.25-26) e conclusivo (n.15) della Settimana sociale di Reggio Calabria[2] e fino ad arrivare a diventare una scelta di progettazione educative negli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo “, al n. 54. La scelta, meglio, “la necessità” di educare alla cittadinanza viene sottolineata dagli Orientamenti a motivo di “ una forte tendenza individualistica” che permea la società, che limita l’azione e la dimensione sociale come semplicemente funzionale a degli interessi personali. E’ la perdita del “bene comune”,  dell’ “insieme” come fine dell’agire sociale, ma anche la perdita dell’ “interesse”, della “passione sociale” come molla dell’azione sociale.

 

  1. La situazione in Italia

Dal 2002 ad oggi in Italia 1.400.000 hanno ottenuto la cittadinanza dopo 10 anni dalla permanenza, secondo la legge, in realtà dopo 12/14 anni di permanenza per i tempi ministeriali. Nell’ultimo anno 100.000 immigrati sono diventati cittadini italiani. Questi elementi segnalano il passaggio nella storia dell’immigrazione straniera in Italia a una fase in cui il fenomeno assume una maggiore maturità. Si tratta, però, di una cittadinanza ritardata, che a sua volta ha ritardato la partecipazione attiva alla vita del nostro Paese. La riforma della legge della cittadinanza è fondamentale per un Paese a forte immigrazioni negli anni scorsi, quale è stata l’Italia, passando da una legge incentrata sullo jus sanguinis – la legge è la n. 91 del 5 febbraio 1992 – che guarda soprattutto al rientro dei nostri emigranti, a una legge basata sullo jus soli o sullo jus culturae. La legge attualmente in vigore vede un provvedimento legato al requisito formale degli anni di residenza legale in Italia (dieci anni per un cittadino non comunitario, cinque per l’apolide o il rifugiato e quattro per i cittadini di uno Stato dell’Unione europea), è lento nel procedere – due anni – adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali quali la condotta tenuta dall’interessato, il livello di integrazione nel tessuto sociale, la posizione reddituale e l’assolvimento dei correlati obblighi fiscali. Tra l’altro, è un fatto singolare che l’Italia, con la legge del 1992, ha aumentato e non ridotto gli anni di residenza richiesti, passando da 5 a 10 per i non comunitari, rispetto alla disciplina previgente, risalente al 1912. I tempi di residenza legale richiesti nei Paesi europei per la naturalizzazione variano: in Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, Francia, si chiedono 5 anni, in Danimarca 7, in Germania 8. I dieci anni stabiliti dalla legislazione italiana e spagnola costituiscono il limite massimo previsto dalla Convenzione Europea sulla Cittadinanza del 1997.

La proposta di cui si discute in Italia da almeno 15 anni ha avuto il suo avvio con la proposta di legge popolare sotto il titolo ‘L’Italia sono anch’io’, una campagna sostenuta dal mondo associativo laico e cattolico nel 2011, con la raccolta di 200.000 firme. La proposta legge prevedeva la residenza a chi è nato in Italia da un genitore legalmente residente da almeno 5 anni, oppure è nato o è arrivato prima del compimento di 12 anni nel nostro Paese e vi abbia compiuto con successo un ciclo scolastico di 5 anni. L’opposizione a questa legge, della quale si discute da 15 anni e che fu approvata dalla Camera il 13 ottobre 2015 e poi è arenata in Senato nel 2017, si spiega infatti solo con il razzismo. Infatti, l’anno successivo, nel 2018, la legge del 3 dicembre – nota come Decreto sicurezza – , raddoppiava da due a quattro anni i tempi massimi di attesa di risposta dalla presentazione della domanda, aumentava il contributo da versare allo Stato per avviare la procedura (da 200 a 250 euro) e prevede la possibilità di revocare la cittadinanza a seguito della condanna definitiva per alcuni reati, inclusi quelli di ordine politico. Nel dicembre del 2020, con le modifiche del Decreto sicurezza di Salvini, si ritorna semplicemente a due anni di attesa rispetto ai quattro, ma nulla di più. La proposta stata ripresa alla Camera, con il cosidetto jus scholae, nel giugno di quest’anno 2022, arenandosi ancora una volta per lo scioglimento delle Camere.  La proposta prevedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che risiedano legalmente e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici. Inoltre, se i 5 anni considerati includono la frequenza della scuola primaria, allora viene richiesto anche il superamento del ciclo di studi con esito positivo come elemento fondamentale per il riconoscimento della cittadinanza; il riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dei requisiti essenziali che i percorsi di istruzione e formazione professionale devono possedere per essere considerati titoli idonei per l’acquisto della cittadinanza; la presentazione su base volontaria della domanda di cittadinanza prima del compimento del diciottesimo compleanno, da parte di almeno un genitore legalmente residente in Italia o chi esercita la capacità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza. In caso di mancanza di questa dichiarazione di volontà, l’interessato acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età; gli ufficiali di anagrafe sono tenuti a comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, la possibilità di acquisire il diritto di cittadinanza. L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza.

Gli ottocentomila ragazzi e giovani che potrebbero beneficiarne non sono immigrati, ma sono nati o cresciuti in Italia; sicché si spiega solo con l’intolleranza per la loro identità etnica la volontà di negare loro la cittadinanza, con l’effetto di trasformare il loro senso di appartenenza al nostro Paese in un assurdo disconoscimento e perciò in rancore anti-italiano: negare  la cittadinanza  ci rende tutti più insicuri, meno tutelati. La proposta andava oltre la semplice contrapposizione di jus soli e jus sanguinis prevedendo anche uno jus culturae o uno jus scholae.

 

  1. Educare alla cittadinanza attiva

E’ chiaro che non si tratta solo di cambiare una legge sulla cittadinanza, ma anche accompagnare a una cittadinanza attiva oggi molto debole. E’ questa cittadinanza attiva la vera sfida per far rinascer le città, che poggia sull’esercizio del diritto di voto non solo alle elezioni amministrative, nazionali o europee, ma anche nel sindacato, negli organi di partecipazione scolastica, nel volontariato.

Conclusione

Forse dobbiamo interrogarci se non sia il caso di rivedere una legge che ritarda la cittadinanza, ritardando la partecipazione attiva di molte persone alla vita sociale, culturale e politica del nostro Paese. Forse dobbiamo ragionare se l’estensione della cittadinanza ai bambini e ragazzi figli di immigrati che completano un ciclo di studi (jus culturae) non sia una semplice concessione, ma il riconoscimento di un percorso di integrazione che rinnova le nostre città. La cittadinanza è lo strumento per riconoscere che la città cambia e per rinnovarla.  Allargare la cittadinanza è una scelta che indica allargare la partecipazione, la responsabilità sociale e la partecipazione dei cittadini immigrati, considerando la cittadinanza come “dono”, primo segno di accoglienza di una vita che nasce, luogo di tutela dei diritti, come luogo di riconoscimento, come compito. Nelle nostre città non solo possono e debbono convivere lingue plurime, ma anche cittadinanze plurime, che non relativizzano il senso e il valore della lingua e della cittadinanza in un paese, anzi la rafforzano. In questo senso, la cittadinanza è un passaggio fondamentale nella direzione che porta ad una società partecipativa, interculturale, ove la diversità, le diverse culture e religioni, non devono semplicemente tollerarsi, ma, nel dialogo, convivere in un processo d’integrazione che sia di arricchimento reciproco, pur nel rispetto delle peculiarità tipiche delle proprie identità d’origine. Alimentare paure, stereotipi e chiusure su una cittadinanza che si allarga significa indebolire la città, escludere dalla città. (mons. Gian Carlo Perego – Presidente della Fondazione Migrantes)

 

Ps. E’ l’intervento del Presidente della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego, all’incontro “Giovani e cittadini” promosso a Ferrara nell’ambito del festival della Migrazione.

[1] CEI, Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “si” di Dio all’Uomo, Bologna, EDB, 2007.

[2] COMITATO SCIENTIFICO E ORGANIZZATORE DELLE SETTIMANE SOCIALI, Un cammino di discernimento verso la 46° Settimana sociale, 17 aprile 2009; ID. Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il Paese, 1 maggio 2010; ID. Un cammino che continua…dopo Reggio Calabria, Bologna, EDB, 2011.

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