Vangelo Migrante: XXXII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 20,27-38)

3 Novembre 2022 –

Dopo i farisei e gli scribi anche i sadducei sono avversari di Gesù. Aristocratici e conservatori in campo religioso e politico, conducevano una vita agiata. Ai loro occhi la fede nella resurrezione non era normativa, anzi doveva essere fermamente rifiutata.

Presunzione e saccenteria stanno alla base della loro posizione teologica; ritengono, infatti, con una banale storiella di poter chiudere definitivamente tutti gli interrogativi relativi alla vita oltre la morte. Lo stravagante racconto secondo cui sette fratelli sposano in successione la stessa donna ha come unico obiettivo quello di screditare la fede nella risurrezione. Dal loro punto di vista, qualora si ammettesse la resurrezione, si avrebbe l’insolubile caso di una donna moglie di sette mariti. Il loro obiettivo non è certo quello di sapere chi sarà il marito di quella donna, ma quello di ridicolizzare e negare la risurrezione.

Nel racconto, se da una parte stupisce la fermezza con cui negano la resurrezione, e la conseguente vita oltre la morte, dall’altra sono inequivocabili le parole di Gesù che smascherano le ragioni di tanta ostilità.

Gesù, innanzitutto, rigetta il pregiudizio che la resurrezione sia semplicemente un rozzo prolungamento della vita terrena: “i figli di questo mondo prendono moglie e marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”. La meta finale della speranza cristiana è la pienezza della vita dei figli di Dio: “infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio”. È proprio in forza di un’intima comunione con Dio che siamo strappati per sempre alla morte. E, quindi, si può rinunciare al matrimonio e agli affetti conseguenti per il regno di Dio, proprio perché questo mondo non è quello definitivo. Se con la morte finisse tutto sarebbe impensabile e assurdo rinunciarvi.

Né deve sfuggire che solo i giusti sono giudicati degni della risurrezione per la vita: “quelli che sono giudicati degni”. Ora, i sadducei vivevano tenacemente aggrappati al presente e alle cose che si vedono, arrendendosi ad essere per sempre sconfitti dalla morte perché non disponibili a trasformare la loro vita e a renderla buona e giusta. Esiste una scintilla del divino deposta in noi. Ognuno deve però alimentarla, vivendo una vita buona e giusta. Non serve né negare la risurrezione e neppure limitarsi ad un vago desiderio di vita oltre la morte incapace di promuovere una vita buona. Gesù non intende dare informazioni precise sull’aldilà, sulle modalità della risurrezione, ma afferma in modo perentorio la fede nel Dio vivente capace di produrre opere buone in vita e più forte della morte stessa.

Il desiderio di immortalità è ben espresso in un passaggio molto efficace tratto dai Demoni di Fedor Dostoevskij: “La mia immortalità è indispensabile perché Dio non vorrà commettere un’iniquità e spegnere del tutto il fuoco d’amore ch’egli ha acceso per lui nel mio cuore. […] Io ho cominciato ad amarlo e mi sono rallegrato del suo amore deposto in me come una scintilla divina. Come è possibile che Lui spenga me e la gioia e ci converta in zero? Se c’è Dio, anch’io sono immortale”.

Il racconto è posto quasi al termine del cammino terreno di Gesù. Quello che ci consegna è decisivo: fidarsi di Dio in modo incondizionato, compiere ogni giorno la sua volontà e produrre frutti di bene e di giustizia, sostenuti dalla speranza certa di essere in cammino verso la vita piena e definitiva: una vita che certamente non deluderà. (p. Gaetano Saracino)

 

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