Tra guerra, indifferenza e respingimenti: da Malta, il Papa chiama a fermare questo naufragio

4 Aprile 2022 – Roma – È stata una domenica triste, quella in cui il Papa ha concluso il suo viaggio apostolico a Malta. Mentre il Pontefice si preparava a celebrare la Messa nel piazzale dei Granai di Floriana, sull’isola si incrociavano notizie angosciose provenienti da nord e da est, e da sud. Dal fronte ucraino, nel trentanovesimo giorno di guerra, dove i russi tentano di compensare la ritirata dalla regione della capitale Kiev intensificando i bombardamenti ad est e su Odessa; dove le tregue restano sulla carta e le evacuazioni proseguono nell’insicurezza; dove nelle città come Bucha si scoprono i segni “sacrileghi” del passaggio degli invasori, i corpi in strada e le fosse comuni delle vittime degli eccidi. Notizie dalla Turchia: qui, nell’attesa infinita dell’incontro tra i vertici delle parti in guerra, i negoziati sono un’altalena frustrante di dichiarazioni di distensione seguite, l’istante dopo, da nuove accuse reciproche, rivendicazioni irricevibili, toni accesi, chiusure.

Notizie da sud, infine. Nella stessa domenica, l’Europa si è svegliata e ha saputo del naufragio di oltre novanta persone nel Mediterraneo, al largo delle coste libiche. Le organizzazioni umanitarie avvertivano da giorni che almeno un centinaio di persone si trovavano a bordo di gommoni in balia delle onde, ma nessuno è intervenuto fino all’alba di sabato, quando un mercantile ha tratto dalle acque gli unici quattro superstiti. Neanche loro, dopo tanto travaglio, si sono guadagnati la salvezza: saranno ricondotti in Libia, di nuovo inghiottiti nella spirale di violenza generata dalle politiche europee di deterrenza delle partenze migranti. Non è la migrazione in sé, è questo intreccio tra omissioni di soccorso e respingimenti a moltiplicare le sofferenze di chi tenta di raggiungere l’Europa: ad aver provocato, dall’inizio dell’anno, trecento vittime in mare e oltre tremila intercettati dalla Guardia costiera libica – che la Germania ha appena annunciato di voler privare di quell’addestramento che l’Europa ha, invece, sinora offerto – e destinati ai centri di detenzione del Paese. Quella della Missione d’inchiesta indipendente ONU, nell’ultimo rapporto pubblicato in questi giorni, è stata solo l’ennesima conferma delle sconvolgenti violazioni dei diritti umani che avvengono al loro interno. Di tutto questo Papa Francesco era andato a parlare a Malta. Per richiamare l’Europa alle sue responsabilità, ma ancor prima alla sua identità profonda di luogo d’accoglienza, quel volto che il continente sta mostrando oggi nei confronti dei profughi ucraini e che proprio Malta – nome fenicio che vuol dire “porto sicuro” – rivelò duemila anni fa a San Paolo, quando l’apostolo, naufrago, trovò rifugio in una grotta sulle sue coste. Fa’ che riconosciamo i bisogni di chi soffre tra le onde e che la nostra compassione si trasformi in accoglienza attiva, ha pregato il Papa in visita in quella grotta, nelle ore in cui Malta e gli altri Paesi europei, una volta ancora, negano la disponibilità dei propri porti. Questa volta i respinti sono le 113 persone salvate da Medici senza frontiere, che dal 30 marzo attendono in condizioni precarie a bordo della nave Geo Barents.

Il Vangelo letto domenica, alla presenza del Papa sotto la facciata della Chiesa di San Publio, insegnava che il peccato è di ognuno e che il perdono è per tutti. Gesù, però, dopo averla salvata dalla lapidazione, ha esortato la donna adultera a non peccare più. Così faccia l’Europa. La solidarietà commovente di questi tragici giorni sia l’occasione per cambiare corso anche nel Mediterraneo, per fermare la “torbida” cooperazione praticata sinora e la rovinosa crescita del “cimitero più grande d’Europa”. Per impedire almeno un ultimo naufragio, dopo i troppi che non si è riusciti ad evitare: come ha detto il Papa, per fermare il naufragio della civiltà.

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