Alla ricerca degli assenti

4 Aprile 2022 – Ancora una preghiera per la pace, per la tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, “sotto i bombardamenti”. Ancora una volta quella parola “sacrilega” per questa guerra scesa come la notte sull’umanità: “non stanchiamoci di pregare e di aiutare chi soffre” dice Papa Francesco nelle parole che pronuncia all’Angelus nel piazzale di granai di Floriana, a Malta. Due giorni nell’isola, scoglio in mezzo al Mediterraneo lungo quella rotta che i migranti compiono, lasciate le coste africane, per raggiungere l’Europa. E proprio a loro dedica l’ultimo incontro prima di rientrare in Vaticano: “l’altro – dice il Papa – non è un virus da cui difendersi, ma una persona da accogliere”.

Ecco i temi del 36mo viaggio: “il vento gelido della guerra che porta solamente distruzione e odio” – come ha detto nel suo discorso al Palazzo del governo – e l’accoglienza di quel popolo che fugge da conflitti e miseria e attraversa il mare nostrum diventato un cimitero liquido. E non è un caso che Francesco citi Giorgio La Pira in un tempo in cui “le seduzioni dell’autocrazia dei nuovi imperialismi, dell’aggressività diffusa, dell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri”. Francesco che ai giornalisti, sull’aereo che lo portava a Malta, ha detto che “in agenda” c’è il viaggio a Kiev. Viaggio che non potrà non coinvolgere anche la chiesa ortodossa, e il patriarca di Mosca Kirill, con il quale è possibile, forse già quest’anno, un altro incontro: parola del Metropolita Hilarion.

Pensando ai colloqui del Mediterraneo del Sindaco santo di Firenze, il Papa chiede di tornare “a riunirsi in conferenze mondiali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo” e destinare i fondi per gli armamenti in progetti di sviluppo, salute e cibo. La guerra non è mai la strada, dice il vescovo di Roma mettendo in guardia da chi parla di Dio ma poi lo smentisce nei fatti: “la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”. E nell’omelia a Floriana, la città che si trova oltre la cinta muraria della Valletta, Francesco commenta il brano del Vangelo: da un lato, la donna accusata di adulterio e dunque condannata alla lapidazione secondo i dettami della legge mosaica; dall’altro scribi e farisei che “pensano di sapere già tutto e di non aver bisogno dell’insegnamento di Gesù”. Negli accusatori dell’adultera, egli scorge quanti fanno della fede “un elemento di facciata, dove ciò che risalta è l’esteriorità solenne, ma manca la povertà interiore”; costoro “si vantano di essere giusti, osservanti della legge di Dio, persone a posto e perbene”. Non riconoscono Gesù e lo vedono “come un nemico da far fuori”, pervasi dal “tarlo dell’ipocrisia” e dal “vizio di puntare il dito”. In ogni tempo e in ogni comunità “c’è sempre il pericolo di fraintendere Gesù, di averne il nome sulle labbra ma di smentirlo nei fatti”. In realtà “chi crede di difendere la fede puntando il dito contro gli altri – afferma – avrà pure una visione religiosa, ma non sposa lo spirito del Vangelo, perché dimentica la misericordia, che è il cuore di Dio”. Ecco le parole di perdono di Gesù: “neanche io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. La vita della donna cambia grazie al perdono. Il Signore, dice il Papa, ci chiede di diventare “testimoni instancabili di riconciliazione, di un Dio per il quale non esiste la parola irrecuperabile”. Se imitiamo Gesù “non saremo portati a concentrarci sulla denuncia dei peccati, ma a metterci con amore alla ricerca dei peccatori. Non staremo a contare i presenti, ma andremo in cerca degli assenti. Non torneremo a puntare il dito, ma inizieremo a porci in ascolto. Non scarteremo i disprezzati, ma guarderemo come primi coloro che sono considerati ultimi”.

Un’ultima immagine: Gesù che si china a scrivere con il dito per terra mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza. Immagine forte, i Vangeli non ci dicono cosa abbia scritto per terra, per di più è l’unica volta che questo gesto viene raccontato. Di Gesù sappiamo che parlava alle folle, insegnava nella Sinagoga, ma non conosciamo suoi testi scritti; sono gli evangelisti che scrivono di lui e ci fanno conoscere le sue parole. In quel gesto, commentava Benedetto XVI citando sant’Agostino, si manifesta “come il legislatore divino”; Dio infatti “scrisse la legge con il suo dito sulle tavole di pietra”. (Fabio Zavattaro – SIR)

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