Il comandamento dell’amore

10 Maggio 2021 – Città del Vaticano – Per tre volte nella pagina del Vangelo di questa domenica torna il verbo rimanere. Dopo il discorso sulla vita e i tralci, Gesù si rivolge ai suoi con questo comandamento: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Di qui l’invito a rimanere nel suo amore, rimanendo uniti a lui.

Siamo ancora nel Cenacolo e l’amore di cui parla è l’agape, la carità. Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, commentando la prima lettera di Giovanni scriveva che quelle parole “esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino”. Amore, dunque. Non quel complesso di sentimenti che appartiene alla nostra sfera, fatto di attrazione fisica, desiderio, passione. È un amore che non chiede nulla in cambio, anzi arriva prima di ogni e qualsiasi richiesta. Il vero principio che anima la legge è proprio l’amore, perché Gesù è venuto sulla terra per cercare e salvare ciò che era perduto, per dare la vita – afferma padre Davide Maria Turoldo – a ciò che non aveva più vita; è un Dio che si fa mendicante, mendicante di amore. È la forza della misericordia di Dio, che ama per primo, anche i peccatori, i samaritani, la gente lontana e rifiutata.

In questa domenica due figure ci possono aiutare a comprendere il comandamento dell’amore: innanzitutto la madre. Maria, nel michelangelesco Giudizio universale è alla destra di Gesù, ha uno sguardo pieno di misericordia, se sa che ormai il tempo è compiuto e non può più intercedere per donne e uomini; ma nonostante tutto sembra quasi non volersi rassegnare. Come Maria tutte le mamme, è la festa loro dedicata domenica, che sanno accogliere e perdonare, asciugare una lacrima e essere rifugio per ogni figlio. Poi il giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia quando non aveva ancora compiuto 38 anni e proclamato beato domenica nella cattedrale di Agrigento, 28 anni dopo il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia, nella Valle dei templi. Il pomeriggio del 9 maggio 1993, prima di celebrare la messa, papa Wojtyla incontra i genitori del giudice Livatino e dice loro che Rosario è “un martire della giustizia e indirettamente della fede”. Ricorda Papa Francesco queste parole e dice: Livatino “nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo, che non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro lo poneva sempre sotto la tutela di Dio”. Piazza san Pietro torna a accogliere le persone per il Regina caeli. Il Papa dice che Gesù ci invita a rimanere nell’amore “perché la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena”. È un amore che ha origine nel Padre, perché Dio è amore, Deus caritas est. Per rimanere in questo amore bisogna osservare i comandamenti, che possono riassumersi in uno solo: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”; mettersi al servizio dei fratelli. Questo significa, afferma Francesco, “uscire da sé, distaccarsi dalle proprie sicurezze umane, dalle comodità mondane, per aprirsi agli altri, specialmente di chi ha più bisogno. Significa mettersi a disposizione, con ciò che siamo e ciò che abbiamo. Questo vuol dire amare non a parole ma con i fatti”. Amare Cristo significa, inoltre, “dire di no ad altri ‘amori’ che il mondo ci propone: amore per il denaro, per il successo, la vanità, per il potere…. Queste strade ingannevoli ci allontanano dall’amore del Signore e ci portano a diventare sempre più egoisti, narcisisti e prepotenti”. E la prepotenza, ricorda il Papa, porta a “una degenerazione dell’amore, ad abusare degli altri, a far soffrire la persona amata. Penso all’amore malato che si trasforma in violenza – e quante donne ne sono vittime oggigiorno delle violenze. Questo non è amore. Amare come ci ama il Signore vuol dire apprezzare la persona che ci sta accanto e rispettare la sua libertà, amarla così com’è, non come noi vorremmo che fosse, gratuitamente”. Gesù, inoltre, ci chiede di “abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi; chi ama se stesso ama lo specchio, di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri, ma di fidarci e donarci agli altri”. La gioia è il segno distintivo del cristiano, il quale, afferma Francesco, “non è triste, sempre ha quella gioia dentro”. (Fabio Zavattaro – Sir)

 

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