“Piangete piuttosto sui vostri figli!”

2 Aprile 2021 – Loreto – «Piangete piuttosto sui vostri figli !». È il grido del Cristo, nel cuore della sua passione. Ma oggi è quello di Agnese a Loreto, alla sua confessione pasquale. Lo è per il figlio Giacomo, chef marchigiano e quanti lo seguono, lontano, ormai a Los Angeles da vari anni. Dopo, però, una montagna di sacrifici, di umiliazioni e di difficoltà. Una via crucis per i nostri giovani. «Sapesse quanti ce ne sono di giovani italiani con mio figlio in America, hanno lauree o diplomi, – mi fa, preoccupata – e si raccontano ancora, ridendo di amarezza, il concorso per spazzini, che hanno fatto in Italia, in migliaia!». È la quarta volta che lei ritorna in California. Come la madre per il Cristo, i figli si accompagnano fin dove vanno. Anche sul Golgota del loro destino. Da dove sanno risorgere spesso a una vita nuova. Paradossalmente.

Ne incontravo in questi ultimi anni all’estero. Ricordo le loro espressioni, il loro sguardo sospeso, piuttosto triste e rattristante, sulla nostra terra. Antonella, eccola all’estero per la seconda volta, dopo un master per ritentare fortuna. Nel suo Sud non ha attecchito. “Il Sud ? Un deserto!” vi risponde, secca. “Si è perfino stanchi di cercare lavoro, tanto non lo si trova. Non c’è nulla. Si lavora al nero, anzi – calcando il tono – un nero che più nero non c’è”. “Ciononostante”, – vi precisa, con un’impennata di orgoglio meridionale, – “c’è della gente che vale, laggiù!”

Olga e Giovanna da Rho, due ragazze bionde e vivaci, vi sanno dire a raffica gli aspetti dei giovani, che hanno ormai lasciato in Lombardia: “Rassegnati, delusi, demotivati, squattrinati e cionostante studiano… chissà, perchè !”

Boris, bergamasco di Pontida, all’estero da qualche anno ha appena incontrato due trentenni arrivati di fresco dall’Italia, anzi “fuggiti,” si corregge subito. Li ha aiutati a trovare casa ed altro, anche se con difficoltà. Ormai ce ne sono troppi che arrivano, in particolare, dalla Grecia, dalla Spagna.

Carla, giovane piacentina, invece, prende il tempo di riassumervi cosa ha apprezzato nel mondo inglese. La cosa più bella è la sincerità: quello che un inglese ti dice è quello che pensa. “Per quanto rude possa essere è la verità, e questa si gestisce, – sottolinea – l’ipocrisia, invece, vi affonda nei dubbi”. Poi ha trovato molto rispetto per chi vuole imparare: l’accoglienza verso chi studia è espressa anche ai livelli più alti. Nessuno, poi, si preoccupa di come si appare. Gli inglesi, per esempio, leggono ovunque. “Io, in Italia venivo guardata bizzarramente, quando leggevo camminando per strada o aspettando il bus. Qui, invece, sono normale!”.

Sonia parla dei giovani italiani che incontra. Nella maggior parte si nota la nostalgia del sole, del buon cibo e dell’estro nostrano, ma in tutti si sente la necessità di vivere in una società più rispettosa, meno macchinosa e falsa. In Italia si è tutti amici, è vero, ma questo rapporto spesso richiede favori, ti lega… » E conclude: “Chi vive in Italia lo vedo frustrato di un Paese che si svende, che non investe nel futuro, che si piange addosso fingendo di stare bene, che vorrebbe anche ribellarsi, ma ne ha paura o non ne ha le forze.”

Riccardo da Fano, ricercatore in fisica a Ginevra per anni, poi semplice precario a Urbino per un anno, quindi ordinario di fisica all’Università in Brasile, naturalmente sposandosi una dolce brasiliana. Una parabola, a cui non servono commenti.

Seguendo il filo del discorso di questi giovani emerge un’idea inquietante. Sembra che i barconi che approdano alle nostre coste – di cui in patria si è come ossessionati per poche migliaia di poveri cristi in cerca di pace e carichi di tutte le speranze del mondo – questi barconi siano paradossalmente l’immagine stessa della nostra terra. Essa getta a mare i suoi giovani. E fa ricordare una massima amara di uno scrittore comasco: “Quando in una società il vecchio uccide il giovane c’è ben poco da sperare. Si autodistrugge, senza saperlo.”

La nostra tragedia, infatti, non è l’immigrazione. Ma l’emigrazione. Sì, dei nostri giovani. Essa raggiunge ultimamente più di 50mila unità all’anno. Screma il futuro di una società. Spoglia le nostre comunità. Ci impoverisce paurosamente, senza accorgersene. Uccide, così, la nostra speranza.

Viene, allora, da interrogarsi se i responsabili della nostra società siano come gli idoli nella Bibbia, che hanno orecchi ma non sentono, hanno occhi e non vedono. Sapendo che la dinamica dell’idolo è quella di concentrare in sé ogni potere, ogni ambizione e farsi adorare. Centrati in se stessi, autoreferenziali per eccellenza. “Siamo al neo-feudalesimo” – commenta Massimo, un giovane veneto – “da noi non c’è stata una rivoluzione francese, nè una rivoluzione industriale come in Gran Bretagna, nè una rivoluzione protestante…” Aurea mediocritas, direbbero i latini.

All’estero, in fondo, il paragone viene naturale. I nostri emigranti italiani hanno costruito per lunghissimi decenni dei ponti con altre culture e con altri popoli, hanno lanciato delle passerelle, hanno imparato a vivere in simbiosi con altri e a farne sintesi nei loro aspetti migliori. “Facendo la loro patria il mondo” sottolineava Giovanni Battista Scalabrini. Nella nostra terra, invece, ci si rinchiude in campanilismi, in clan, in corporazioni, in gruppi di interesse o di pressione. Sì, un piccolo mondo antico. Perfino nella distribuzione dei vaccini contro il Covid 19, lo si è visto ultimamente.

In fondo, per questi giovani, abbandonati da tutti e abbandonati a se stessi, resterà solo Dio a proteggerli. Così, il nostro sguardo si fa compassione e preghiera. (p. Renato Zilio – Migrantes Marche)

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