Morti in mare: da lunedì un “digiuno staffetta”

26 Marzo 2021 – Roma – Da lunedì 29 marzo partirà un “digiuno staffetta”  per richiamare l’attenzione alla tragedia dei morti in mare. Si tratta di Fame e sete di giustizia, promosso da Cantiere Comune, espressione dei missionari comboniani. Oggi, nel corso di una conferenza stampa on line, è stata presentata l’iniziativa che – ha detto p. Alex Zanotelli, nasce per «condividere quello di milioni di persone che fanno la fame, è un gesto di protesta contro un sistema profondamente ingiusto, che permette al 10 per cento della popolazione mondiale di mangiare lautamente il 90 per cento dei beni di questo pianeta». Per il religioso comboniano il Mediterraneo oggi è «diventato un mar nero, un cimitero dei volti oscuri che bussavano alla nostra porta ma che sono periti in questo mare». Migrazioni che, ha sottolineato l’arcivescovo di Agrigento, il card. Francesco Montenegro – già presidente della Fondazione Migrantes – «non rappresentano una emergenza, quanto piuttosto un fenomeno strutturale nella vita del mondo» evidenziando che sull’immigrazione «si gioca il futuro e si misura la vitalità della società e della Chiesa». Il “digiuno a staffetta” – ha quindi aggiunto il porporato – «non è ‘per’ bensì ‘con’: dobbiamo condividere la fame. I migranti vengono perchè hanno fame, vengono a  riprendersi ciò che noi paesi civili abbiamo tolto. Ma noi siamo  la civiltà, eppure non vogliamo capire che esistono le civiltà». E parlando del Mediterraneo il card. Montenegro ha evidenziato che questo mare è diventato un «cimitero liquido, ma le morti non ci toccano e quindi ci ritroviamo con una coscienza in qualche modo falsa, perché ci sentiamo buoni, ma in effetti non lo siamo. Noi degli immigrati ne abbiamo fatto una categoria e ci siamo dimenticati che sono uomini, donne e bambini, forse dovremmo ricordare che quando c’è un uomo che muore ingiustamente ne siamo un po’ tutti colpevoli, ma noi abbiamo le mani pulite, perché noi, al limite, desideriamo che se ne tornino a casa loro, come se questa fosse la soluzione migliore: tornare a casa loro e tornare in quella povertà che è invivibile, tornare a casa loro e ripassare dalla Libia dove ci sono le torture, tornare a casa loro è andare incontro alla morte per molti, questa è la fotografia». E parlando, poco dopo, alla Radio Vaticana, il card. Montenegro ha sottolineato che «è facile che ci si commuova davanti ad un crocifisso di legno o di gesso, ma non siamo capaci di commuoverci davanti al Cristo vivente, alla carne sanguinante di Cristo che incontriamo. Siamo riusciti a sentirci a posto, perché quando vediamo il pane che si spezza sull’altare, noi diciamo quello è Gesù, però poi, quando uscendo, lungo le scale della chiesa, lo vediamo seduto con la mano tesa, ecco quello un poveraccio non è più il Gesù di prima, quando in effetti e quel pane e quel povero hanno la stessa identità. La nostra fede è diventata una fede facile, una fede che non si vuole sporcare, vissuta ad occhi chiusi per non essere disturbati nella preghiera, ma a furia di tenere gli occhi chiusi, non vediamo più niente e non sappiamo più che cosa presentare nella preghiera». (Raffaele Iaria)

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