P. Clemente Gatti: la testimonianza di un religioso al servizio degli italiani in Romania

24 Marzo 2021 – Roma – Padre Clemente Gatti, che morì dopo un duro trattamento in carcere, «si trovò a vivere a Humedoara, in Romania, dove costatò la presenza di molti italiani che si erano più o meno stabiliti nella regione trans-caucasica per motivo di lavoro, alcuni in forma definitiva, altri solo nelle stazioni di lavoro. Gli italiani, non parlando il rumeno, oppure l’ungherese, non frequentavano i sacramenti». E allora – ricorda a www.migrantesonline.it il vice postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione p. Claudio Bratti – p. Clemente iniziò a cercarli, celebrare la Santa Messa per loro, invitarli a regolarizzare la loro esistenza dato che alcuni erano conviventi e i bambini privi del battesimo”. Per questo motivo la Legazione Italiana (così si chiamava allora l’Ambasciata), lo nominò Console per aiutare i nostri connazionali nelle pratiche di regolarizzazione e per altre pratiche burocratiche. Siamo intorno agli anni 40-50 del Novecento. Qui p. Gatti arriva nel 1938: oggi vogliamo raccontare la sua storia nella Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri. Una data significativa che ricorda l’uccisione, avvenuta il 24 marzo 1980, di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, e canonizzato nel 2018. Il presule fu ucciso durante la celebrazione della Messa, “punito” per le sue denunce contro le violenze della dittatura militare nel Paese.

Clemente – dice p. Claudio Bratti – si diede da fare per assistere anche economicamente alcune famiglie. Per il Natale, la Legazione Italiana gli inviava giocattoli per i bambini che lui poi distribuiva. Con l’espulsione di mons. Mantica, primo parroco italiano a Bucarest, nonostante il pericolo di cui p. Clemente ne era ben cosciente, si offrì per sostituirlo. Gli italiani avevano costruito una chiesetta e una canonica che oggi si trova nel centro di Bucarest, contava con 7/8 mila fedeli italiani, con l’arrivo del regime comunista si ridussero a meno di mille, rimasero soltanto vecchi, poveri e ammalati, incapaci di intraprendere una nuova avventura di emigrazione. P. Clemente «li assisté spiritualmente, visitandoli, interessandosi presso la Legazione Italiana per provvederli di legna durante l’inverno, le medicine e altre necessità. Li visitava vestito in borghese perché il Governo aveva proibito l’uso della talare».

Nato a Caselle di Pressana (VR) il 16 febbraio 1880, Pietro Ernesto Domenico Gatti – questo il suo vero nome prima di quello religioso di Clemente – a 15 anni entra nell’ordine dei Frati Minori Francescani. Ordinato sacerdote a Roma il 2 aprile 1904 in S. Giovanni in Laterano, si specializza in Teologia dogmatica e inizia ad insegnare in Sardegna, Malta, Veneto, Ungheria e Romania.

Dopo varie esperienze l’impegno in Romania: «Mi raccomandai al Cuore SS. di Gesù perchè mi aumenti – scrive il 6 luglio 1943 in una lettera al Superiore Generale dell’Ordine dei frati Minori Francescani – in me la sua Grazia e benedica l’apostolato che esercito, con il permesso dei superiori e dell’Ordinario, tra i molti connazionali sparsi in queste regioni, religiosamente trascuratissimi, e viventi in deplorevoli irregolarità matrimoniali. Con carità, pazienza e zelo, tante piaghe si risanano. Come vede faccio il missionario: l’ideale della mia vita». E in altra lettera dell’8 novembre 1944, entra nel dettaglio della sua attività con gli italiani in Romania: «la mia vita si svolge invariata: scuola ed apostolato tra gli operai connazionali sparsi un po’ ovunque in queste regioni. Li visito, li aiuto, predico, celebro».

Con la seconda guerra mondiale la Romania viene invasa dall’Armata Rossa. Il convento di Hunedoara (nella Transilvania che allora faceva parte del regno della Romania) dove viveva p. Gatti viene occupato dalla Securitatea, la polizia segreta del regime comunista. Tutti i chierici sono rimandati alle loro case, i sacerdoti deportati al vescovado di Alba Julia. P. Gatti, in quanto cittadino italiano, ottiene il permesso di trasferirsi a Bucarest, dove, anziché rientrare in Italia, accetta l’incarico di rettore della chiesa italiana il cui fondatore (il vicentino mons. A. Mantica) veniva espulso dal regime in quei giorni. Anni difficili questi: vengono soppresse tutte le comunità religiose cattoliche e le diocesi ridotte a due. Le comunità religiose femminili devono concentrarsi in due comunità rurali e quelle maschili in un unico centro.

Gatti continua a svolgere il suo ministero a Bucarest oggetto di “speciali sospetti e di arbitrarie violenze”. Molte le difficoltà che religioso deve affrontare: percorre l’intera città da una parte all’altra per andare a trovare i nostri connazionali, per confortarli e aiutarli. Ma questo suo attivismo viene segnalato alle autorità rumene che lo considerano quasi un sovversivo.

In questo periodo – racconta p. Bratti – sono molte le testimonianze che raccontano degli aiuti di p. Gatti ai cittadini italiani: medicine, generi alimentari e anche contributi in denaro per pagare le spese di riscaldamento. Inoltre si fa carico di distribuire gli aiuti che arrivano dal Vaticano per sostenere le piccole comunità cattoliche. Una attività non passa inosservata alla Securitate che nel marzo del 1951 lo arresta poiché un sacerdote greco-cattolico, trovato in possesso di denaro, fu costretto con la tortura a rivelare chi glielo aveva fornito. E sottoposto quindi a vari maltrattamenti e, dopo il tipico processo farsa viene condannato a 15 anni di carcere duro e 10 anni di privazione dei diritti civili. Il 14 aprile del 1952, su pressioni del Governo italiano, viene liberato e consegnato alla frontiera con l’Austria, in condizioni estremamente precarie a causa del duro lavoro e del trattamento ricevuto in carcere. Due giorni dopo arriva a Vienna dove viene ricoverato in una clinica.

“Era – ha raccontato p. Serafino Mattiello – ridotto ad una larva di uomo, semiparalizzato, con la perdita quasi totale della favella”. Si decide, dopo le prime cure, di farlo proseguire per Padova, dove giunge il 15 maggio per essere ricoverato nell’infermeria che da poco i Frati Minori avevano aperto a Saccolongo. Secondo un medico che lo visita in quei giorni gli sarebbe stata tirata la lingua in modo violento, oppure prodotto un taglio alla base della lingua stessa, forse per non fargli raccontare le violenze e le torture subite. Muore dopo tre settimane, il 6 giugno 1952. Dopo un trentennio il Governo Rumeno chiede scusa per il trattamento riservato a p. Clemente Gatti decretandone l’abilitazione civile mentre la diocesi di Padova avvia il processo di canonizzazione, concluso a livello diocesano ed ora in discussione preso la Congregazione per le Cause dei Santi. (Raffaele Iaria)

 

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