A Cesare e a Dio

19 Ottobre 2020 – Città del Vaticano – Gesù è ormai entrato a Gerusalemme, sono gli ultimi giorni della sua esistenza terrena, e il cerchio attorno a lui va stringendosi. Matteo ci propone, nella pagina del suo Vangelo della domenica, letto ieri, la prima delle tre dispute in cui è trascinato dai suoi avversari. Squisitamente politica la domanda che gli viene posta: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare”. Ha di fronte una strana coalizione composta da discepoli dei farisei e da erodiani, popolazione a sud del mar Morto, sotto la Giudea: filogovernativi e collaborazionisti questi ultimi, contrari all’occupazione romana i primi. La domanda ha un unico obiettivo: tendere una trappola a Gesù, interrogandolo sulla legittimità del tributo da pagare a Cesare.
Tre gli elementi di questa pagina evangelica, e cioè la moneta, il sottile inganno, e la risposta spiazzante. La moneta è il Census coniata appositamente da Roma per il tributo dovuto all’impero dal popolo della Giudea, esclusi anziani e bambini. Aveva il valore di una giornata di lavoro, e era uno dei segni più odiosi per far sentire il peso della schiavitù. La domanda è di difficile risposta, perché sulla moneta è raffigurata l’immagine di Cesare e il comandamento proibiva di fare immagini di qualsiasi persona. Anzi, per la popolazione il culto dell’imperatore, ritratto anche sulle monete, era un’ingiuria al Dio di Israele. Chiedendo se sia lecito o meno pagare il tributo a Cesare, una risposta positiva poteva costare l’accusa di idolatria; una negativa, l’accusa di essere un sobillatore politico.
Gli interlocutori di Gesù sono convinti che non ci sia un’alternativa alla loro interrogazione: o un “sì” o un “no”. Erano sicuri di metterlo all’angolo e farlo cadere nel tranello. Ma Egli conosce la loro malizia – “ipocriti, perché volete mettermi alla prova” – e si svincola dal trabocchetto. Così, in primo luogo, chiede la moneta: lui non ha soldi in tasca, non così farisei e erodiani. Indiretta critica ai suoi interlocutori che tirano in campo problemi di coscienza nella misura in cui questi toccano i loro beni, i soldi.
Gesù “si pone al di sopra della polemica” spiega papa Francesco all’Angelus, nel quale ricorda la giornata missionaria – “ogni cristiano è chiamato ad essere un tessitore di fraternità”, dice gioendo per la liberazione di padre Pier Luigi Maccalli – e chiede pace per la Libia e la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo trattenuti da più di un mese. Gesù con la sua risposta – “rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” – da una parte, “riconosce che il tributo a Cesare va pagato – anche per tutti noi, le tasse vanno pagate –, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma soprattutto ricorda che ogni persona porta in sé un’altra immagine – la portiamo nel cuore, nell’anima – è l’immagine di Dio, e pertanto è a lui, e a lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza, della propria vita”, dice papa Francesco citando le parole di Benedetto XVI, il quale commentava: “da’ la tua ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato. Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo”.
In questa sentenza di Gesù, afferma Francesco, “si trova non solo il criterio della distinzione tra sfera politica e sfera religiosa, ma emergono chiari orientamenti per la missione dei credenti di tutti i tempi, anche per noi oggi. Pagare le tasse è un dovere dei cittadini, come anche l’osservanza delle leggi giuste dello Stato. Al tempo stesso, è necessario affermare il primato di Dio nella vita umana e nella storia, rispettando il diritto di Dio su ciò che gli appartiene”. Distinzione che toglie alla politica ogni dimensione sacrale: la politica può essere vissuta come servizio a Dio ma non coincide con il Regno di Dio, e nessuno potere terreno può mettersi al posto di Dio.
Ecco la missione della Chiesa e dei cristiani: “parlare di Dio e testimoniarlo agli uomini e alle donne del proprio tempo”. Per il Battesimo, ognuno “è chiamato ad essere presenza viva nella società, animandola con il Vangelo e con la linfa vitale dello Spirito Santo. Si tratta di impegnarsi con umiltà, e al tempo stesso con coraggio, portando il proprio contributo all’edificazione della civiltà dell’amore, dove regnano la giustizia e la fraternità”.

Fabio Zavattaro

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