Un fuoco d’amore

1 Giugno 2020 – Città del Vaticano – Pentecoste. Per Benedetto XVI è “il battesimo della chiesa”. Per padre Davide Maria Turoldo è “il vento che non lascia dormire la polvere”. Per Francesco è la Chiesa “nata in uscita”, dal Cenacolo è “partita con il pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore”.

Pentecoste. Per l’ebraismo è la festa che ricorda la rivelazione, il dono di Dio al popolo ebraico della legge sul monte Sinai. Per il cristianesimo è la discesa dello Spirito santo sui discepoli. Il soffio dello Spirito è all’origine di tutte le cose, è all’origine della prima creazione, come leggiamo nella Genesi: “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Ma è anche all’origine della nuova creazione, dello Spirito santo che nel giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua, scende sui discepoli e Maria, il primo giorno della settimana ebraica, lo stesso della resurrezione.
Celebra nella basilica vaticana all’altare della Cattedra, papa Francesco, davanti a un piccolo gruppo di fedeli. Poi Regina caeli, per la prima volta da quando ha avuto inizio il lockdown, parole che pronuncia, affacciandosi dalla finestra dello studio del Palazzo apostolico, guardando le persone che finalmente sono potute tornare in piazza San Pietro.
Pentecoste, la “forza unificatrice dello Spirito”, dice nell’omelia in basilica, evidenziando le diverse provenienze e contesti sociali fra gli apostoli: “Gesù non li aveva cambiati, non li aveva uniformati facendone dei modellini in serie. Aveva lasciato le loro diversità e ora li unisce ungendoli di Spirito Santo”. Anche tra noi ci sono diversità e la tentazione è sempre quella di difendere le nostre scelte, le nostre idee: “guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. II mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico”.
Poi, nelle parole che precedono la recita del Regina caeli, Francesco sintetizza il senso della Pentecoste: perdonando e radunando i discepoli “Gesù fa di essi la sua Chiesa: una comunità riconciliata e pronta alla missione”.
Giovanni, nel suo Vangelo, ci dice che i discepoli avevano chiuso le porte per paura, e Gesù venne in mezzo a loro e li salutò: pace a voi. Parole che sono più di un saluto, esprimono perdono – lo avevano abbandonato – riconciliazione. Anche noi, afferma il Papa, “quando auguriamo pace agli altri, stiamo dando il perdono e chiedendo pure il perdono”. Gesù offre la sua pace, dice ancora, perdona sempre: “non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Parole che aveva già pronunciato nella sua omelia nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013.
L’incontro con il Signore “capovolge l’esistenza degli apostoli e li trasforma in coraggiosi testimoni”. I suoi inviati: “‘io mando voi’: non è tempo di stare rinchiusi, né di rimpiangere i ‘bei tempi’ passati col Maestro. La gioia della risurrezione è grande, ma è una gioia espansiva”. Immagine cara al Papa, la Chiesa in uscita: “lo Spirito Santo è fuoco che brucia i peccati e crea uomini e donne nuovi; è fuoco d’amore con cui i discepoli potranno ‘incendiare’ il mondo, quell’amore di tenerezza che predilige i piccoli, i poveri, gli esclusi”.
Il soffio dello Spirito ci chiede “il coraggio di uscire fuori dalle mura protettive dei nostri ‘cenacoli’, senza adagiarci nel quieto vivere o rinchiuderci in abitudini sterili”. Comunità riconciliata e pronta alla missione.
Un pensiero, infine, anche per l’Amazzonia “tanti sono i contagiati e i defunti, anche tra i popoli indigeni, particolarmente vulnerabili”. Prega il Papa “per i più poveri e i più indifesi” di quella regione, ma anche per quelli di tutto il mondo: “faccio appello affinché non manchi a nessuno l’assistenza sanitaria. Curare le persone, non risparmiare per l’economia. Curare le persone, che sono più importanti dell’economia”.

Fabio Zavattaro

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