Coronavirus in Francia: una testimonianza da Parigi

12 Aprile 2020 – Parigi – Mi chiamo Mario, ho 36 anni, tarantino di origine e parigino di adozione da 9 anni.

Ho conosciuto per caso la Missione Cattolica Italiana di Parigi dieci giorni dopo il mio arrivo in Francia ed è stato in quel momento che questa città, inizialmente ostile, ha smesso di farmi paura.

Bellissima coincidenza, quel giorno Parigi si era vestita di un bel sole!

Da allora partecipo, più o meno assiduamente, alle attività della comunità italiana.

Qualcuno ha battezzato la Missione Cattolica Italiana di Parigi “la mia casa lontano da casa” e io non posso che essere d’accordo: le messe domenicali, le attività infrasettimanali, i rapporti umani che mi è stato permesso costruire con le persone che ho conosciuto in Missione rendono più dolce e più sopportabile la distanza dalla mia famiglia rimasta in Italia; tutto questo, beninteso, insieme alla grande fortuna di vivere la mia fede nella mia lingua e con tante persone in una grande comunione di intenti.

Questa mia esperienza, pur personale, è condivisa da molti altri parrocchiani, ma personalmente, l’arrivo del Coronavirus l’ho vissuto con qualche timore, riguardo alla continuità delle attività.

Le misure previste per arginare i rischi legati al Covid-19 hanno avuto un impatto, seppur soltanto organizzativo e logistico, sulle iniziative promosse dalla MCI: fortunatamente, i padri e gli animatori sono ricorsi alla tecnologia, cosicché ogni domenica mattina e per ben due venerdì abbiamo potuto partecipare alle messe settimanali, a un incontro di preghiera comunitaria e alla Via Crucis, tutti trasmessi in streaming sulla pagina Facebook o sul sito ufficiale della MCI. Quest’ultima ha potuto comunque svolgersi secondo le modalità previste: ognuno di noi ha potuto proporre un pensiero, una preghiera, una riflessione per ciascuna stazione, che sono stati poi letti dai sacerdoti nella loro abitazione, dove si è svolta la funzione. Per ovviare alla staticità forzata, sono stati proiettati dei dipinti ad acquerello, ognuno dei quali ritraeva o evocava una tappa della Via Crucis.

Per aiutare la meditazione durante queste celebrazioni, molti fedeli hanno condiviso sussidi e libri di preghiere.

Nonostante il carattere insolito di questa nuova organizzazione, il grande vantaggio che presenta risiede nel fatto che ognuno di noi può assistere alle celebrazioni da casa, aggirando le difficoltà di spostamento tipiche di una metropoli.

Data l’impossibilità di avere dei rami d’ulivo quest’anno, abbiamo potuto, grazie ad un tutorial, fabbricare dei rami fatti in casa, che sono stati benedetti poi durante la messa delle Palme.

Inoltre, da qualche anno, la comunità italiana partecipa all’iniziativa “Hiver Solidaire”, con la quale la parrocchia di Saint Bernard La Chapelle, anch’essa animata dai missionari di San Carlo, offre posti-letto, pasti caldi oltre che una sistemazione duratura, ad un gruppo di 7/8 immigrati ogni anno.

Nell’ambito di questa proposta, i volontari preparano ogni sera la cena e trascorrono del tempo con gli ospiti di questo rifugio.

A causa della quarantena, tuttavia, non essendo più possibile andare a Saint Bernard, i volontari e chiunque lo desideri, possono dare il loro contributo comprando generi alimentari da consegnare poi agli organizzatori di Hiver Solidaire.

Anche i catechisti si sono mobilitati per dare continuità agli incontri, ritrovando via streaming i bambini e i ragazzi una volta alla settimana.

Tuttavia, nonostante le difficoltà e la relativa, effimera tristezza che comporta, questa situazione singolare, insieme alle soluzioni trovate con tempestività ed entusiasmo, riassume con grande efficacia un pensiero destinato ai fedeli della parrocchia italiana: “non c’è nessun fedele in chiesa, ma c’è Chiesa in ogni fedele” e “la Chiesa è una madre combattiva e il suo Sposo agisce nei suoi figli dall’interno”.

Mario Stasi

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