Vangelo Migrante: commento al Vangelo della V domenica di Quaresima (Gv 11, 1-45. Resurrezione di Lazzaro

28 Marzo 2020 – In un crescendo, nei Vangeli di queste domeniche sono apparsi con sempre maggiore evidenza il dramma dell’uomo e la gloria di Dio: nell’uomo prevale la necessità dell’acqua, della luce, della vita; da Dio provengono la sorgente che disseta, la verità che illumina, la resurrezione che dà vita.

L’episodio della resurrezione di Lazzaro, questa domenica, è la prova generale della Resurrezione di Gesù, il fondamento della nostra fede.

La morte resta un dramma ed è il problema dell’uomo. Non solo quella esistenziale ma anche le tante morti e mortificazioni, dinanzi alle quali i nostri desideri e i nostri progetti non possono nulla. In questi giorni ne stiamo avendo la prova.

Nel Vangelo odierno colpisce una sorta di lentezza da parte di Gesù. Marta, la sorella del defunto gliela fa notare.: “se tu eri qui, mio fratello non moriva”. A volte l’attesa di un Suo intervento, lento e quasi distratto, sembra metterci alla prova. Perché fa così? Dal Vangelo odierno impariamo che i tempi di Dio non sono i nostri e l’intervento di Dio non va confuso nel far qualcosa: Dio non è cura palliativa ma uno che risolve le cose alla radice.

Come per la Samaritana Egli chiede da bere per poi offrire acqua in abbondanza, così per Lazzaro aspetta la morte, ed anche una sorta di necrosi, per poter operare la vita. È probabile, e anche molto umano che, presi dalle nostre paure e dal nostro dolore, noi non ce ne accorgiamo. Il primo segno dell’Opera di Dio è proprio questo: nella necrosi nessuno mette mano; Gesù lo fa perché Dio va dove non va nessuno. E da lì ricomincia la vita: scatena le porte degli inferi e riprende l’uomo dove i vermi se lo mangiano e lo porta con sé.

Il Suo pianto è una risposta a Maria. Sembra dirgli: “Ho colto profondamente il tuo stato. Ti ho accolto”. Il passaggio è importante. Molte volte, impotenti dinanzi alle tante lacrime di chi chiede di essere accolto, forse anche a noi è sembrato più logico darci da fare senza aver fatto prima quel silenzio, anche ferito e in lacrime, che ci mette in condizione di entrare in relazione con Dio, farci accogliere da Lui e riconoscere l’Opera sua, che vive e dà vita anche attraverso le nostre azioni.

Solo sentendoci accolti dal Lui possiamo dare il meglio di noi stessi.

P. Gaetano Saracino

 

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