Covid-19: restare uniti, tirare tutti dalla stessa parte. Il Coronavirus non divida l’Italia

28 Febbraio 2020 – Roma – Si moltiplicano in queste ore le analisi e le riflessioni sulla situazione creatasi con la diffusione anche in Italia del coronavirus Covid-19. Gli effetti dell’epidemia sono certamente problematici, tragici nelle loro conseguenze mortali, pesanti sul piano sanitario e sociale. La paura, in molti casi, ha preso il sopravvento, sperimentata nell’assalto ai supermarket e, soprattutto, nella diffidenza che si registra nei rapporti interpersonali: uno starnuto in pubblico rimanda subito agli “untori” della peste manzoniana, comprese nuove “colonne infami”. E già si intravvedono altre conseguenze, fra cui quelle economiche: gli appelli a “riaprire Milano” sintetizzano questo aspetto non secondario del coronavirus. Altrettanto preoccupanti, e sgradevoli, appaiono i “cordoni sanitari” che all’estero si registrano nei confronti degli italiani: giustificati in qualche caso, ma per lo più assolutamente irrazionali.

In questo quadro, occorre riconoscere che, ancora una volta, l’Italia e gli italiani non hanno dato il meglio di sé. Anziché far proprio lo “stringiamoci a coorte”, l’impegno concreto a restare uniti che si canta con l’Inno nazionale, sono emersi in pochi giorni atteggiamenti che fanno pensare a un Paese diviso: diviso da vecchi e nuovi campanilismi, dall’improvvisarsi esperti in materia sanitaria, dal fidarsi di tutto ciò che i social rilanciano anche quando si tratta di evidenti sciocchezze messe in circolo – in maniera cosciente o meno – da chi non ne sa nulla. E se persino la medicina ha inviato talvolta all’opinione pubblica messaggi discordanti (dal minimizzare al drammatizzare), il peggio è forse giunto dalla politica, con contrasti fra i diversi piani di governo (locale, regionale, nazionale) che ha fornito l’impressione che qualcuno stesse pensando alle prossime elezioni piuttosto che a mettere al sicuro la salute dei propri cittadini e il bene delle comunità amministrate.
Dovrebbe essere chiaro, in tale delicatissima fase, che bisogna tirare tutti dalla stessa parte; che occorre rispettare decreti, regole e ordinanze, con una scala di responsabilità e di autorità che va dal governo centrale ai territori, perché il problema è nazionale, non locale. Appare doveroso fidarsi della scienza e degli esperti riconosciuti evitando la psicosi collettiva spesso innescata da un’informazione superficiale e incontrollata. Per l’Italia è il tempo di mostrare unità d’intenti, condivisione di obiettivi, fattiva solidarietà verso chi sta pagando il prezzo più alto del Covid-19; quella stessa solidarietà che ha caratterizzato la Penisola in mille altre occasioni emergenziali: dai terremoti alle più diverse catastrofi naturali, dal terrorismo alle imprevedibili (ma non sempre incolpevoli) disgrazie collettive. Unità sul piano politico, perché il cittadino possa sentirsi rassicurato da governanti capaci di rispondere con responsabilità alla diffusione del virus e alle sue conseguenze a breve e lungo termine. Per questo appare doveroso respingere ogni sciacallaggio politico perché rischia di lacerare ulteriormente un Paese già di per sé fragile e impaurito. Gli italiani dovranno pure rimboccarsi le maniche, sostenuti da eventuali aiuti economici statali, per contenere al massimo le ricadute sul Pil, ovvero sulle imprese, la produttività, il lavoro, i redditi familiari…È inoltre auspicabile che le realtà e le voci credibili e autorevoli del Paese contribuiscano a instillare fiducia, senso di comunità, volontà di riscatto: quanto ad esempio stanno facendo – con senso di responsabilità – parrocchie e diocesi è veramente emblematico.

Non si dovrà neppure rinunciare a quel sano, sottile umorismo sdrammatizzante che, sin dalle prime notizie dell’epidemia, si è messo spontaneamente in circolo nel Belpaese: non si può ridere sguaiatamente di una tragedia collettiva, ma è possibile – con piglio tutto italiano – aiutare a pensare tramite una battuta, un sorriso, una strizzata d’occhio. La paura – italianamente – si vince anche così. (Gianni Borsa – Sir)​

 

 

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