Esposti a continue violenze i migranti dell’America centrale

17 Febbraio 2020 – Città del Vaticano – Migliaia di persone, che fuggono dalla violenza e dalla disperazione dei propri paesi in America centrale, si trovano esposti a un livello di violenza ancora più grande lungo la rotta migratoria verso gli Stati Uniti e non riescono a entrare in paesi sicuri. A lanciare l’allarme sono alcune ong presenti in Messico, secondo cui le recenti politiche migratorie adottate da Stati Uniti e Messico stanno seriamente mettendo in pericolo la sicurezza e l’incolumità dei richiedenti asilo provenienti dall’America centrale, con gravi conseguenze per la loro salute fisica e psicologica. Fuggono in particolare da El Salvador e Honduras, considerati due tra i paesi più violenti al mondo, e attraversano prima il Guatemala e poi il Messico con il sogno di raggiungere gli Stati Uniti.

Emerge chiaro e incontrovertibile il dato che le recenti politiche statunitensi e gli accordi bilaterali raggiunti con il Messico e il Guatemala abbiano peggiorato la crisi umanitaria nell’area. I richiedenti asilo negli Stati Uniti, infatti, sono costretti a rimanere nei due paesi in attesa che la loro richiesta venga esaminata.

In un recente dossier dell’ong Medici senza frontiere (Msf) intitolato «Nessuna via d’uscita», basato su 480 interviste a uomini e donne tra i 15 e i 66 anni arrivati in Messico, e sulle testimonianze di alcuni operatori umanitari dell’organizzazione, risulta che più della metà delle persone intervistate è stata vittima di aggressioni, estorsioni, violenze a sfondo sessuale o torture. Oltre il 60 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver vissuto situazioni violente nei due anni precedenti l’uscita dal proprio paese e circa la metà ha ammesso come ragione fondamentale della fuga l’esposizione alla violenza. Tre quarti delle persone che viaggiano con bambini ha dichiarato di essere partite a causa della violenza, incluso il reclutamento forzato in bande criminali. Infine il 57,3 per cento dei migranti è stato vittima di aggressioni, estorsioni, violenze a sfondo sessuale o torture lungo la rotta migratoria.

Il rapporto, inoltre, rende noti i dati medici relativi alle oltre 26.000 persone assistite in Messico durante i primi nove mesi del 2019, che evidenziano gli alti livelli di violenza e di maltrattamenti subiti dai migranti e dai rifugiati nei loro paesi d’origine, lungo la rotta migratoria e sotto la custodia delle autorità statunitensi e messicane. Sergio Martín, coordinatore generale di Msf in Messico, a margine del dossier ha affermato che «dopo anni di raccolta di dati medici e testimonianze è evidente che molti dei nostri pazienti stanno disperatamente fuggendo dalla violenza nei loro paesi di origine. Queste persone chiedono protezione e cure e, come minimo, l’opportunità di chiedere asilo. Invece lungo la rotta migratoria si trovano esposti a un livello di violenza ancora più grande e non riescono a entrare in paesi sicuri. Restano così bloccati in luoghi pericolosi, senza alcuna possibilità di trovare sicurezza».

«Abbiamo a che fare con persone vulnerabili, che hanno viaggiato in un grande gruppo per evitare di subire violenza lungo il percorso. Costretti ora a rimanere in detenzione nel nord del Messico, hanno scoperto un altro tipo di violenza» ha denunciato ancora Martín.

Su questo fronte proprio questa settimana a Piedras Negras, città messicana al confine con gli Stati Uniti, si è creata una situazione di emergenza. Oltre 1.700 migranti, che si erano accampati in una fabbrica abbandonata della città nel tentativo di oltrepassare la frontiera, sono stati trattenuti dalla polizia e dai soldati messicani contro la loro volontà e gli è stato vietato di abbandonare la fabbrica, confinati come fossero criminali.

In un primo momento le autorità messicane non avrebbero permesso a equipe di varie organizzazioni umanitarie di accedere all’interno della struttura. «Questa terribile situazione è peggiorata quando alle organizzazioni umanitarie è stato impedito l’accesso al sito e quando i migranti sono stati trasportati da Piedras Negras a città di confine non sicure» ha affermato ancora Martín, aggiungendo di essere preoccupato per le persone rimaste nella fabbrica che hanno bisogno di cure mediche. Molti tra questi migranti necessitano inoltre di supporto psicologico per ridurre i sintomi di stress e ansia causati da questo confinamento e dall’incertezza di questi trasferimenti. Successivamente le autorità messicane li avrebbero accompagnati in altre città di frontiera poco sicure, dove i migranti, in situazione di totale vulnerabilità, finiscono in balìa delle reti di trafficanti di esseri umani, vengono spesso presi di mira da gruppi criminali e sono particolarmente esposti a violenze e abusi. Proprio per questo le ong presenti in Messico continuano a monitorare questi trasferimenti per capire meglio le condizioni nei luoghi in cui vengono inviate le persone. (Fabrizio Peloni – Osservatore Romano)

 

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