Raccontare le migrazioni: un convegno ieri a Oristano

4 Febbraio 2020 – Oristano – Una buona comunicazione sulla mobilità umana al centro dell’incontro promosso dalla Caritas e dalla Migrantes della Sardegna, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti e con l’Ucsi Sardegna, ieri nell’Istituto di Scienze religiose a Oristano.  A introdurre i lavori, i vescovi Mons. Roberto Carboni e Mons. Giovanni Paolo Zedda, rispettivamente delegati della Conferenza episcopale sarda per Migrantes e per la Carità, che hanno sottolineato la necessità di affrontare il tema nella sua complessità, per evitare rischi di banalizzazioni e di distanza tra realtà e percezione. Sullo sfondo, la ricerca una narrazione che sappia cogliere la “significatività di ogni storia, come dice Papa Francesco”, ha detto padre Stefano Messina, direttore regionale Migrantes.

Si parte dall’attenzione al linguaggio, quel “parlare civile” che “deve evitare strumentalizzazioni e favorire la riflessione”, ha ricordato Raffaele Callia, delegato regionale Caritas. “L’informazione non può essere ridotta ad approccio emergenziale che si limita a raccontare la prima accoglienza materiale o gli sbarchi –   ha spiegato Simone Varisco della Fondazione Migrantes -. Spesso non si dà spazio alla realtà legata agli immigrati regolarmente residenti in Italia (oltre 5 milioni), ben più numerosi rispetto ai circa 200mila richiedenti asilo e profughi”.  Inoltre, “occorre partire dal dato reale, non dall’ideologia: facciamo ricerca per promuovere informazione, formazione e sensibilizzazione”.  Come spiegato dal relatore, sono oltre 257 milioni le persone che, nel mondo, vivono fuori dai loro paesi di origine; gli spostamenti più numerosi avvengono all’interno del continente asiatico (63 milioni) e in Europa (41 milioni). I circa 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia (l’8,7% del totale) costituiscono una cifra ben lontana da quel rischio di “invasione” di cui spesso parlano i media; in Sardegna, 55.900 gli stranieri regolarmente residenti (3,4% del totale). In Italia, circa il 60% degli immigrati regolari in età lavorativa sono occupati, con una differenza di retribuzione di -322 euro in rapporto agli italiani; spesso svolgono mansioni dequalificate rispetto ai loro titoli di studio. Nel 2017, circa 374mila le aziende di cittadini nati in paesi extra Ue; 7029 nell’Isola (7% del totale). Il 53,6% dei cittadini stranieri sono cristiani, il 30,1% musulmani. I matrimoni con almeno un coniuge straniero, sono 27.744 (14,5% del totale): gli unici in aumento nel Paese. I figli nati da entrambi i genitori stranieri sono circa 65mila (il 15% del totale, in calo del 3,7% rispetto al 2017); 9,7% gli alunni con cittadinanza non italiana nel 2017-2018,  di cui il 63% sono nati in Italia. La povertà accomuna italiani e stranieri: se a livello nazionale le persone assistite dalla Caritas sono per il 58% straniere, nel sud sono per il 68% italiane. Una giusta narrazione è necessaria per evitare la strumentalizzazione politica: a titolo esemplificativo, “sono state 787 le dichiarazioni offensive e discriminatorie durante la campagna elettorale del 2018, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti”

I numeri reali, la completezza e l’ampiezza del fenomeno sono importanti anche nel comunicare l’emigrazione. “Contrariamente allo stereotipo che l’emigrazione sia legata al passato – ha spiegato Delfina Licata, curatrice del “Rapporto Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes  –  dall’Italia non si è mai smesso di emigrare, tanto da parlare di emigrazione strutturale”. Sono 128mila gli italiani partiti all’estero sia nel 2017 che nel 2018 (dati Aire), con una brusca diminuzione dell’età media nel 2018: oltre il 40% tra 18  – 34 anni e il 24 % tra i 35  – 49;  26 mila i minori (di cui 15mila hanno meno di 10 anni). Stessa tendenza nell’Isola, con un aumento del 15,3 % delle partenze nell’ultimo anno. Fondamentale “raccontare anche il passato migratorio che si deduce dalle fasce di età più mature e da più tempo presenti all’estero». Inoltre, l’attenzione al linguaggio: «L’espressione “fuga di cervelli”  non è rispettosa né di chi parte, né di chi resta”.  Per comunicare l’emigrazione “occorre conoscere, ascoltare, incontrare le persone e raccontare le loro storie,  tenendo conto non solo dei loro successi, ma anche dei fallimenti e delle fragilità”. (Maria Chiara Cugusi)

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