La “partita” vinta di Ebrima, grazie al contratto in serie A

10 Dicembre 2019 – ROMA – La prima volta che si è seduto in panchina da titolare era il 27 ottobre scorso, per un match di quelli importanti: Roma-Milan. Ma la sua partita più importante l’aveva già vinta senza neanche entrare in campo. Diciott’anni appena compiuti, originario del Gambia, Ebrima Darboe è arrivato in Italia nel 2017 da solo, dopo aver passato un periodo nell’inferno dei campi in Libia.  Salvato in mare da una nave della Guardia costiera, è stato accolto prima a Catania, poi in uno Sprar per minori non accompagnati a Rieti, gestito da Arci. Ed è qui che il suo sogno ha cominciato a diventare realtà tra mille difficoltà. Anche Ebrima, o “Ibra”, come lo chiamano i compagni di viaggio incontrati nella cittadina dell’alto Lazio, una volta diventato maggiorenne ha dovuto scontrarsi con le nuove regole imposte dal decreto sicurezza, volute dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, che, caso vuole, fosse anche lui allo stadio Olimpico nel giorno del suo esordio.

Come minore straniero non accompagnato, infatti, Ebrima ha fatto domanda di protezione in Italia. La commissione territoriale gli aveva accordato una protezione umanitaria (abolita in seguito dal decreto Salvini). La sua regolarizzazione è stata possibile solo con il contratto fatto dalla A.S. Roma che gli ha dato la possibilità di convertire la protezione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Ma arrivarci è stato complicatissimo, ad ostacolare il suo percorso, oltre alle leggi sull’immigrazione, sono state le regole ferree della Federazione gioco calcio, che pongono una serie di restrizioni al tesseramento degli stranieri. “C’è stato un periodo in cui sembrava che le cose non potessero andare avanti, e quindi noi come Ebrima, avevamo perso le speranze: quando abbiamo sentito che il tesseramento e il contratto con la Roma diventavano possibili, abbiamo provato una gioia immensa: perché non era un risultato importante solo per lui ma anche per tanti altri ragazzi che sono nella sua situazione – sottolinea Davide Ballone, educatore dell’Arci di Rieti -. Lui è un talento e siamo felici che diventi un calciatore di serie A, ma abbiamo tanti altri casi, come il suo in cui  la burocrazia rema contro, anche a fronte di ragazzi che nel nostro paese hanno fatto un percorso importante”. Come rilevato anche dal recente rapporto di Unhcr, Oim e Unicef, dal 2014 ad oggi sono arrivati nel nostro paese circa 70mila minori stranieri non accompagnati, il 90 per cento dei quali diventati maggiorenni negli ultimi anni. Le Procedure burocratiche lente e complesse, la difficoltà di integrazione e di ottenere un contratto di lavoro, che si aggiungono alle ferite dei traumi subiti durante il viaggio, rendono la loro transizione verso l’età adulta un cammino sempre più difficile.

La fortuna di Ebrima è stato incontrare lungo il viaggio persone hanno creduto al suo sogno, e che insieme a lui hanno lottato perché potesse realizzarlo. Una volta arrivato a Rieti, infatti, il ragazzo è stato inserito in un percorso formativo e di integrazione: la mattina andava a scuola, il pomeriggio, insieme agli altri ospiti del centro si dedicava alle attività extrascolastiche. Tra queste c’era la possibilità di giocare a calcio con lo Young Rieti, la squadra locale. “Dal primo allenamento ci siamo accorti che era di un livello altissimo: per noi che facevamo il campionato provinciale era un fenomeno, una vera chicca – racconta l’allenatore Francesco Spognardi -. Come tutti quelli bravi, faticava a passare la palla ai compagni, voleva fare sempre tutto da solo, io dovevo insegnargli il gioco di squadra, ma non volevo perdesse l’inventiva. Abbiamo lavorato molto insieme, non so descrivere la gioia immensa nel vederlo in panchina quella domenica. Tifo un’altra squadra ma da quando lui è lì tifo anche Roma. E’ un grande riconoscimento, per noi e per lui: a fine allenamento si fermava sempre più degli altri per voglia di imparare. Ma oltre la tecnica ho cercato anche di insegnargli a non ascoltare le parole cattive, gli insulti degli altri: quando qualcuno ci ha provato, magari per provocare un fallo di reazione, lui mi guardava e io gli ho sempre detto di non ascoltare, di lascia perdere i provocatori che ci sono e ci saranno sempre”. Lo Young Rieti ha da anni un progetto di integrazione con il Comune e con lo Sprar (oggi Siproimi). “ E’ un progetto dedicato a tutti, non facciamo distinzioni, per noi sono tutti ragazzi uguali – racconta Massimo Masi, presidente dello Young Rieti – Ma certo, Ebrima spiccava per talento, quindi quando un talent scout l’ha notato è iniziato un percorso da una parte bellissimo, perché gli dava la possibilità di andare in serie A, dall’altro difficilissimo, perché abbiamo dovuto lottare tanto”. Il primo tesseramento con la squadra reatina infatti è stato abbastanza facile, nonostante il ragazzo fosse minore. “Il sindaco di Rieti ha firmato come tutore e siamo riusciti a tesserarlo, il problema si è posto con il passaggio alla serie A, perché non riuscivamo a far accettare i documenti. Abbiamo inviato le carte a Bruxelles, a Zurigo, ovunque – aggiunge -. Dopo vari rifiuti ci siamo riusciti, ma abbiamo lottato tantissimo”.

La severità di Fifa e Figc nel tesseramento dei ragazzi provenienti dall’Africa è legata anche alla paura della cosiddetta “tratta dei baby calciatori”: non di rado, infatti, ragazzi minori vengono fatti arrivare in Europa con documenti falsi per giocare in campionato. E per ingrossare gli introiti del calcio scommesse. A questo si aggiungono “le restrizione per i cittadini extra comunitari per entrare a far parte delle società sportive, perché c’è un  limite massimo e alcuni criteri da seguire. I ragazzi devono avere un anno di scuola alle spalle, la scuola deve essere pubblica o paritaria. Ma la Fifa era molto cauta anche per verificare che non fosse un caso di tratta dei giocatori. – spiega ancora Davide Ballone -. Nel frattempo noi avevamo preso accordi con la Roma che lo aveva nella primavera, senza poterlo far giocare in campionato. Poi fortunatamente la Figc ha emanato una circolare che parificava i ragazzi stranieri ai ragazzi italiani, in quanto minori, ed è stato il nostro cavallo di troia che ha dato il via libera al  tesseramento”. Al compimento dei 18 anni è arrivato anche il contratto che ha permesso di convertire la protezione umanitaria in permesso di lavoro. E ora il percorso seguito da Ebrima Darboe è un modello anche per altri ragazzi. Non solo per chi gioca a calcio (già un altro ragazzo è statto tesserato con la squadra del Perugia) ma anche per gli altri che stanno portando avanti un percorso di integrazione in Italia.  “Per noi la cosa più importante è stata, non solo riuscire a rompere il sistema, ma ribadire che la migrazione è veramente ricchezza se ben gestita – conclude Ballone – le persone che accolgono e quelle che arrivano se messe insieme possono raggiungere grandi risultati e abbattere tanti muri, con o senza una palla al piede”. (Eleonora Camilli)

 

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