Il presepe: per capire Dio e i “segni dei tempi”

5 Dicembre 2019 – Modena –  Davanti alla parrocchia della Madonna pellegrina, a Modena, in largo Madre Teresa di Calcutta, l’avvento è cominciato con un presepe ‘scomodo’. Lo definisce così il parroco Matteo Cavani. Forse non poteva essere altrimenti data la dedicazione alla Vergine e lo stesso indirizzo della chiesa, piazza Madre Teresa di Calcutta, dentro la quale la sera di sabato 30 novembre si è concluso il festival della migrazione organizzato dalla Fondazione Migrantes della Cei con il presidente, il vescovo Guerino Di Tora, e il pastore dell’arcidiocesi modenese Erio Castellucci.

La Madonna, che purtroppo qualche politico ha provato e prova a strumentalizzare tirandola per la veste, non è un simbolo politico, ma è anche la prima protettrice dei pellegrini che i cristiani non lasciano fuori, siano essi in viaggio in mare o per terra. La Sacra Famiglia, inoltre, ricorda il parroco modenese nel foglio della comunità è fuggita profuga in Egitto per salvare il Figlio di Dio.

Il Vangelo di Matteo, dopo aver dato la buona novella della nascita di Gesù, intreccia altri due racconti singolari: la visita dei Magi – stranieri – dall’oriente e la strage dei bambini innocenti di Betlemme a opera di Erode. Il presepe di Modena diventa ‘scomodo’ soprattutto per i credenti perché parla di morti innocenti. Non gli unici, certamente, di questo tempo. Ma questi sono morti innocenti che dividono più degli altri anche i cattolici. C’è chi non li riconosce nemmeno, chi non vorrebbe sapere della loro sorte e chi, accecato da una propaganda cattiva e odiosa, arriva a esultare per la loro morte.

Dovrebbero vederlo il presepe della Madonna pellegrina. Alle porte della chiesa inizia a scuotere il visitatore con l’esposizione dei pannelli che portano incisi i nomi di alcuni degli almeno 30mila migranti morti nel Mediterraneo. Uomini, donne e bambini cui spesso manca un nome, sono indicati come NN. Una sequenza impressionante come un algoritmo di dolore. C’è un abisso di strazio che ci viene risparmiato dalla non conoscenza degli alfabeti e delle parole con le quali i loro coniugi, le madri, i figli, i congiunti, sui social chiedono disperatamente a chiunque possa averli incontrati una parola che restituisca speranza. Ma il presepe, non solo quello di Modena, ha la forza di tradurre simultaneamente quello che prova una madre che ha perduto il figlio che ha portato in grembo. E il presepe ricorda il diritto di ogni persona ad avere un nome e una storia perché siamo tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio.

Poi, quando si entra in chiesa, avvolti dal silenzio e nella penombra di un moderno tempio di popolo – cresciuto con il sacrificio della comunità: qui la prima Messa fu celebrata la notte di Natale del 1964 sotto la neve, quando ancora il tetto non era stato costruito e i teli di plastica proteggevano i fedeli – le statuette della Sacra famiglia avvolte in carta dorata richiamano il primo conforto dato ai profughi scampati dall’annegamento. Ricordano che grazie ai giubbotti prima e poi a quelle alle sgargianti e povere difese termiche ha vinto la vita e sono state sconfitte la morte e la disumanità. Il Bambino è nato per sconfiggere il male e la morte.

Nella lettera sul presepe il Papa dice che nascendo lì, «Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza». Probabilmente l’errore che commettiamo noi che stiamo all’interno della cosiddetta Fortezza Europa è crederci salvi, sentirci superiori, diversi da chi è stato inghiottito dal mare, o a rischiato di esserlo, nel tentativo di raggiungere la terra promessa. Invece il piccolo presepe della Madonna pellegrina ricorda la fragilità della nostra condizione umana e la fratellanza con chi è stato salvato e con chi non ce l’ha fatta. Abbiamo tutti bisogno di un giubbotto di salvataggio e di qualcosa che ci custodisca quando il freddo è grande come la solitudine. E più che mai in tutte le case e chiese e piazze e le scuole abbiamo bisogno di un presepe che ci aiuti a restare umani. (paolo Lambruschi – Avvenire)

 

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