In classe il racconto dei profughi

30 Ottobre 2019 – Genova – Una lezione particolare – di quelle che si ricordano tutta la vita – tenuta da un sopravvissuto ai viaggi della speranza.

Che si siede in cattedra e racconta senza che voli una mosca in un’ora la propria odissea ai suoi coetanei o giù di lì in una scuola superiore o in un corso universitario di Genova. Perché se le odissee migratorie sono state irrise, ridotte dalla propaganda xenofoba e invasionista attiva soprattutto su tv e social con la tecnica della disumanizzazione a viaggi di piacere compiuti da benestanti, allora una via da percorrere è portare in classe un richiedente asilo, magari un minore non accompagnato arrivato da un Paese africano, dall’Afghanistan e dalla Siria.

Lo ha proposto in un articolo Avvenire domenica 20 ottobre: partiamo dai giovani e come antidoto a razzismo e xenofobia, alla disumanizzazione e all’assuefazione alla morte in mare o nel deserto anche di mamme e bambini, occorre far raccontare dalla viva voce di chi è scampato alle rotte dei trafficanti da cosa fuggono e cosa hanno vissuto durante il viaggio.

Sono arrivate molte lettere. Fra tutte quella del lettore Carlo Zanini, tutore volontario che da febbraio ha avuto in ‘consegna’ dal Tribunale 4 minori stranieri non accompagnati, che crede molto in questa iniziativa e auspica il coinvolgimento di insegnanti ed educatori.

Da Genova è arrivata la conferma che tale coinvolgimento c’è e si può replicare. Con l’iniziativa ‘Storie di una diversa giovinezza’, organizzata dall’ottobre 2015 al giugno 2018 dalla Comunità di Sant’ Egidio di Genova, guidata da Andrea Chiappori, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale per la Liguria e l’Ufficio Migrantes diocesano, 23 richiedenti asilo da Afghanistan, Eritrea, Etiopia, Gambia, Senegal, Sierra Leone, Siria e Somalia, accompagnati da 20 universitari volontari della Comunità di Sant’ Egidio, hanno incontrato 2600 studenti in 130 classi di istituti professionali, tecnici e licei e quattro corsi accademici.

«La formula è semplice – spiega Elena Arcolao, responsabile del progetto -: i minori non accompagnati o i neo-maggiorenni, dopo una brevissima introduzione da parte del giovane volontario accompagnatore, raccontano in 15 minuti la propria storia. Poi inizia il dialogo con gli studenti con domande ‘senza filtro’, in un confronto reciproco di idee. In questo modo sono stati abbattuti molti muri e pregiudizi. A loro ho chiesto di fare racconti umanamente ‘sostenibili’, tenuto conto che devono rievocare momenti molto dolorosi».

Le domande riguardavano la loro storia, il motivo della fuga, la durata del viaggio, la somma pagata ai trafficanti e il trattamento ricevuto anche dalla polizia italiana. Ancora, se qualcuno li ha aiutati o se hanno trovato amici durante il viaggio, come sono le comunità dove sono stati accolti, se vogliono o possono tornare nel loro Paese, quali rapporti hanno mantenuto con la famiglia. Ma anche sulla loro vita nella terra d’origine, quali sogni hanno, come vedono il futuro e cosa significa integrarsi.
Tutte domande a cui non si è sottratto Fadil, oggi 22enne, che dall’esperienza dell’incontro in classe ha tratto molti giovamenti. Ha raccontato in un clima di attenzione di essere figlio dell’imam di un villaggio a nord del Camerun, di essere arrivato a Genova nel maggio 2016 appena diciottenne dopo l’omicidio dei genitori da parte dei terroristi islamisti di Boko Haram nel febbraio 2015. Fadil è dovuto fuggire per sopravvivere intraprendendo un lungo viaggio attraverso il Ciad e poi in Libia, dove ha visto la morte da vicino.

«Ci sono rimasto un anno subendo due arresti e torture nelle prigioni e venendo costretto a lavorare come schiavo. Poi mi sono imbarcato e sono arrivato a Palermo; dopo tre giorni ero a Genova. Oggi vivo in una comunità, vado a scuola di italiano, ho preso la licenza media. Durante il giorno lavoro e alla sera frequento le scuole serali per prendere un diploma. Quando ho un po’ di tempo libero vado a fare volontariato con Sant’ Egidio ».

Lorenzo Mantero, 23 anni, volontario di Sant’ Egidio, ha accompagnato Fadil e altri richiedenti asilo nelle scuole: «La chiave di volta è stata la conoscenza della persona. Spiazza chi ha pregiudizi perché quasi nessuno ha mai ascoltato la storia del viaggio e della prigionia di un ragazzo quasi coetaneo».(Paolo Lambruschi – Avvenire)

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