La tragica analogia dell’odio online

29 Ottobre 2019 – Roma – Una media di 200 insulti al giorno alla senatrice a vita Liliana Segre, a quasi 80 anni dalla violenza Auschwitz ancora al centro di quella dei social. Dove l’odio non ci mette neppure la faccia, ma solo tastiera e anonimato. Deportata a 13 anni in campo di concentramento, chissà che alcuni dei suoi insultatori non abbiano poco più di quell’età. Se fosse vero, e le premesse ci sono tutte in una Rete sempre più giovane, sarebbe una nota ancora più amara. Che vuole, accanto agli ebrei, fra i più colpiti dalla violenza online anche musulmani, donne, rom e stranieri. Una lista che sembra riportare indietro le lancette dall’odio a quasi un secolo fa.

Una situazione alimentata, invece, dai moderni mezzi di comunicazione digitale. È il caso di Twitter, dove il 32% dei messaggi negativi prende di mira i migranti. A rivelarlo, secondo i dati contenuti anche nell’ultimo Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, la “Mappa dell’intolleranza” realizzata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza Università di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano. Nel 2019, scrive Vox, «l’odio contro i migranti registra un +15,1% rispetto al 2018 e sul totale dei tweet che hanno ad oggetto i migranti, quelli di odio sono ben il 66,7%. Sul totale dei tweet negativi, inoltre, quelli contro i migranti sono circa il 32%: vale a dire che un ‘hater’ (‘odiatore’, ndr) su tre si scatena contro ‘lo straniero’. L’intolleranza contro gli ebrei, di fatto quasi inesistente fino al 2018, quest’anno registra un +6,4% (76,1% sul totale dei tweet sugli ebrei). Mentre l’intolleranza contro i musulmani registra un netto aumento (+6,9%) e resta alta (74,1% sul totale dei tweet sui musulmani) e si lega soprattutto alla percezione di eventi internazionali». Su tutti, il terrorismo che si autodefinisce islamico.

Uniti da alcune battaglie comuni – ma anche dall’odio online, come rivela un’indagine pubblicata in esclusiva sul Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes, “Parole e paure: dai tweet del Papa al contesto italiano” – non è la prima volta che Liliana Segre e papa Francesco si trovano a parlare la stessa lingua. Non è un caso, allora, che lo stesso Rapporto Immigrazione, grazie al giornalista di Avvenire Nello Scavo, abbia raccolto proprio le riflessioni di Liliana Segre in tema di immigrazione. «Ancora oggi – scrive Nello Scavo – la senatrice a vita vuole continuare a testimoniare con la sua stessa esistenza quale può essere la deriva ideologica che spinge a vedere nell’altro un ostacolo, e perfino un nemico. Vedere altri che vengono respinti mi fa venire in mente quando, con la mano in quella di mio padre, nella notte e nella neve tentammo di attraversare la frontiera con la meravigliosa Svizzera che ci respinse e ci riconsegnò all’Italia”, ricorda Liliana Segre. È quello che accade ogni qualvolta le autorità europee si trovano a cooperare con gli aguzzini libici. Per non dire delle parole d’odio rivolte alle minoranze rom e sinte. “Mi rifiuto di accettare che la nostra democrazia, che ci è costata tanta sofferenza, sia sporcata da leggi che colpiscono le popolazioni nomadi”. E se questo accade, lo si deve al continuo tentativo di svuotare la memoria. “Quando vengono compiute violenze, ci sono sempre modalità analoghe. Ma c’è una cosa che, a differenza di altri, trovo identica ad allora: il distacco, il disinteresse collettivo verso persone che, pur con storie diverse, decidono di mettere pochi oggetti in valigia, abbandonare le proprie case e lasciarsi alle spalle la vita intera, la propria città, pur sapendo di rischiare la morte, di farla rischiare ai figli piccoli”».

Da qui, la drammatica affinità con il tema della migrazioni. «”Va sottolineata l’analogia tragica dell’indifferenza e bisogna aiutare gli italiani a respingere la tentazione di voltarsi dall’altra parte”, insiste Segre. Che non smette di guardare lontano, a immaginare una comunità e un Paese che sappiano costruire insieme. A cominciare dal senso della parola ‘cittadinanza’. “Il diritto di cittadinanza e la dignità della persona vengono spesso negati dalla nazione – ricorda Segre – ma anche da atti concreti di carattere razzista e discriminatorio”. Presente e passato purtroppo si saldano. E c’è chi non vuole notarlo. “Anche in questo caso non mancano precedenti, e mi riferisco alle Leggi razziali del ’38, che stabilivano che gli appartenenti alla razza ebraica erano stranieri”. La parola e le prospettive sono dei giovani, “di cui mi considero nonna ideale, e dico che il concetto di cittadinanza ha un duplice significato: è un diritto, da una parte, di tutti i cittadini, ma anche una responsabilità”. Toccherà alla politica trovare le forme, ma “un pensiero particolare va a quei bambini, nati da genitori stranieri, che crescono con i nostri nella stessa scuola, ma scoprono amaramente di essere nonostante tutto, diversi”». (Simone M. Varisco)

 

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