Mons. Delpini: serve “gente di pace”

24 Luglio 2019 –

Milano – Celebrazione molto speciale quest’anno per la festa di san Charbel, grazie alla presenza dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini alla Messa celebrata domenica scorsa nella chiesa di Santa Maria della Sanità, affidata, dal novembre 2014, dalla diocesi ambrosiana alla comunità maronita. All’Eucarestia, celebrata in arabo, italiano e aramaico (la lingua parlata da Gesù), partecipano centinaia di fedeli, in stragrande maggioranza milanesi, preceduti dal consolo generale del Libano, Walid Haidar. Segno, questo, della grande devozione in Italia nei confronti di san Charbel Makhluf (1828-1898), monaco del Monte Libano che Paolo VI ha voluto beatificare alla vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II, il 5 dicembre 1965 e, poi, canonizzare, il 9 ottobre 1977.

«Alcuni testimoni riferirono di aver visto una luce abbagliante uscire dalla tomba di san Charbel», ha esordito l’arcivescovo, riferendosi al primo dei tantissimi miracoli (oltre 1300 guarigioni ricevute grazie alla sua intercessione) operati dal santo che ha trascorso la sua intera vita eremitica «nell’umiltà e nel nascondimento», ma che tuttavia «ha rivelato tutta la sua potenza al popolo maronita e a tutti coloro che nel mondo ricorrono a lui». «Celebriamo – ha aggiunto Delpini – la festa di san Charbel, uomo trasfigurato in luce e preghiamo che interceda per noi, perché anche noi siamo avvolti dalla luce. Invochiamo la luce che ci aiuti ad essere gente di pace, anche nei momenti in cui sembra inevitabile dare sfogo all’esasperazione, anche nelle terre dove sembra che la zizzania abbia invaso tutto il campo». «La santità di san Charbel – ha concluso l’arcivescovo di Milano – è dono di riconciliazione per il suo popolo; la sua intercessione ha ottenuto al suo popolo di essere un popolo che ama la pace, anche là dove si vive tra le guerre, laddove ci sono ingiuste prepotenze e dove la minaccia è sempre incombente». La celebrazione secondo la liturgia antiocheno-maronita ha visto anche il rito di benedizione dell’acqua – molti i fedeli arrivati con ampolle e bottiglie –, la processione all’interno della chiesa con la statua lignea del santo, e la benedizione con la sua reliquia arrivata dal Libano. «Un’immagine concreta della Chiesa dalle genti», ha sottolineata don Assaad Saad, guida della comunità libanese, richiamando il Sinodo minore diocesano. La chiesa di Santa Maria della Sanità è, infatti, diventata «un’oasi che raccoglie diversi fedeli di lingua araba del Medio Oriente che vivono a Milano e in Lombardia: libanesi, siriani, giordani, iracheni; e quindi non solo maroniti, ma anche caldei, melchiti, latini e grecoortodossi. Sentiamo la bellezza dell’unità nella diversità e di essere un piccolo laboratorio del Sinodo». Don Assaad ha ricordato ancora la prima reazione dei milanesi alla concessione della chiesa alla sua comunità. «Chi sono i maroniti? Sono cattolici? La loro Messa è valida anche per noi ambrosiani? Qualcuno, vedendo delle scritte in arabo sul portone della chiesa, si domandava se fosse stata data in gestione ai musulmani».

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