Non dimentichiamo gli sfollati ambientali

23 Luglio 2019 – Roma – La questione climatica – e i problemi ambientali a essa connessi – è ormai una realtà evidente non solo nel mondo accademico e scientifico ma anche a livello politico e sociale. Se l’interesse nei confronti del cambiamento climatico sta aumentando, rimane, tuttavia, limitata l’attenzione verso le sue principali vittime: i poveri. Sono soprattutto loro, infatti, a subire maggiormente gli effetti negativi del cambiamento climatico avendo minori capacità di resilienza al problema. Con possibilità molto ridotte di fronteggiare disastri repentini e violenti – alluvioni, tsunami ecc. – e/o cambiamenti ambientali lenti ma costanti – l’innalzamento del livello delle acque degli oceani, la desertificazione ecc. – gli abitanti dei paesi economicamente svantaggiati sono costretti a emigrare: è a rischio la stessa sopravvivenza.

L’Internal Displacement Monitoring Centre e il Norwegian Refugee Council parlano di 17,2 milioni di persone scappate nel 2018 a seguito di disastri ambientali: una cifra superiore ai 10,8 milioni di spostamenti dovuti a conflitti. Si tratta, dunque, di numeri importanti. Non solo, si parla soprattutto di esseri umani che ad oggi sono senza riconoscimento giuridico né tutela perché non hanno né i requisiti – soprattutto la persecuzione – previsti della Convenzione di Ginevra per ottenere l’asilo politico né leggi internazionali ad hoc che li proteggano. Il problema, ad ogni modo, c’è ed è destinato ad aumentare. Di fronte ad esso la comunità politica internazionale – e purtroppo anche quella scientifica – è divisa e molti paesi fanno appello alla sovranità nazionale per evitare la definizione di leggi vincolanti in favore dei migranti ambientali. Un’estensione della tutela prevista dalla Convenzione di Ginevra nei confronti di chi fugge a causa del cambiamento climatico e di problemi ambientali non è considerata possibile: il rischio di favorire una maggiore chiusura da parte degli Stati verso i rifugiati in generale è troppo elevato.

Il pensiero degli Stati si muove, infatti, tra logiche ambigue connesse agli umori e alle incertezze dei vari elettorati: se i cittadini sono ostili all’arrivo di immigrati o richiedenti asilo – perché in loro vedono solo nemici e potenziali concorrenti – la classe dirigente si adopererà quasi esclusivamente nella promozione di leggi volte alla chiusura delle frontiere, preferendo non intraprendere provvedimenti legislativi ritenuti politicamente “scomodi”. Una voce in favore dell’accoglienza e della tutela dei migranti o rifugiati ambientali viene dalla Chiesa cattolica. Di fronte ai dibattiti e agli scontri scientifici e istituzionali sulla questione la Chiesa ribadisce il dovere dell’accoglienza e la necessità di riconoscere nel migrante un frater e non un nemico e nel creato un dono che Dio ha fatto a tutta l’umanità, affinché lo custodisse e non dominasse.

L’invito di papa Francesco, come del resto anche quello dei sui predecessori, è quello di non dimenticare chi fugge a causa del cambiamento climatico e di disastri ambientali. (Carlotta Venturi)

 

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