Le parole emigrazione e immigrazione sono, oggi, “sempre più sostituite da migrare e mobilità”

Roma – Le parole emigrazione e immigrazione sono, oggi, “sempre più sostituite da migrare e mobilità per superare quella intrinseca rigidità che comunica una specifica traiettoria, un tempo ben determinato e un progetto migratorio scritto a priori che prevede l’inserimento definitivo nella meta di destinazione prescelta. Mobilità, dunque, come complesso intreccio di percorsi e motivazioni che spingono oggi a muoversi nel mondo certi che, comunque, la partenza porterà ad incontrare e, mai come nel caso del migrare, il coinvolgimento è di persone. Dalle persone si parte e alle persone si arriva quando si riflette sulla mobilità”. Lo ha detto questa mattina Delfina Licata della Fondazione Migrantes,  durante il seminario nazionale “Costruttori di Ponti 5 – La scuola racconta le migrazioni” promosso dall’Istituto Alcide Cervi, il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, il Miur, la Fondazione Migrantes e la Rete Scuole Migranti. Per Licata mobilità e migrare sono parole che “vanno abitate” e dalle quali “bisogna farsi abitare” perché “parlare o scrivere di migrazioni non significa solo comunicare concetti, ma trasmettere gioie e dolori, certezze e paure, guardare l’altro negli occhi e allo specchio se stessi, condividere e dialogare”.

Oggi sapere quanto sono gli italiani nel mondo è difficile: una stima parla di 60-70 milioni di oriundi, ovvero di discendenti di italiani andati all’estero nelle varie epoche. Oggi i cittadini italiani residenti all’estero, iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), sono oltre 5milioni. Per Licatala mobilità in se per se è una ricchezza perché spinge ad andare oltre se stessi facendo incontrare l’altro per sua natura diverso, per cultura, lingua tradizioni. L’incontro con l’altro diverso da me è sempre un potenziale arricchimento”.  Il problema nasce dal fatto che “dall’Italia oggi si è obbligati a partire perché i giovani, i giovani adulti ma anche i cinquantenni rimasti disoccupati non riescono a trovare una occupazione, ma una volta all’estero non hanno la possibilità di tornare, perché le condizioni in Italia restano per loro proibitive”. Un elemento negativo della mobilità di oggi è “la non preparazione”. Gli italiani cioè partono sprovvisti della “fondamentale e necessaria ‘cassetta degli attrezzi’, che è fatta della conoscenza della lingua del posto in cui si va, della legge applicata in quel determinato paese e dell’attenta analisi della necessità e dell’utilità di andare in quel territorio e non in un altro”. Questo porta spesso “tanti giovani a fallire il loro progetto migratorio, per cui incontriamo giovani italiani poco o gravemente depressi, in povertà, o addirittura detenuti perché trovati in stato di irregolarità o per aver trasgredito alla legge locale”. (R.Iaria)

 

Temi: